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Il paesaggio e la memoria:

per una ricostruzione storico-geografica del dominio monrealese

Paesaggio e memoria possono rappresentare due facce dello stesso nucleo semantico.

I termini che compongono questo binomio rimandano a modi di raccontare la storia che superano gli événements, i fatti minimi o memorabili, per approdare ad una forma di narrazione che riguarda la formazione di un’identità, il suo costruirsi attraverso il tempo, le sedimentazioni che di episodio in episodio, di generazione in generazione, sono andate a sovrapporsi e ad innestarsi sulle eredità del passato.

Sciogliere l’intreccio fra memoria e paesaggio – operazione già di per sé assai difficoltosa – significa tentare una comparazione tra i segni sulla carta e i segni sulla terra, seguirne le tracce con approcci diversi, cercarne la sintesi: un’aspirazione che non ignora la difficoltà insita nell’utilizzo di categorie spesso sfumate, dubbie, ambigue.

Tra queste, proprio il concetto di paesaggio: un termine la cui indeterminatezza deriva sin dalle origini dalla prevalenza di componenti soggettivistiche, percettive e simboliche, ma variamente utilizzato in ambito speculativo per inventariare e descrivere “tipi”, raggruppare e comparare – con metodologie riconducibili al primato dell’osservazione visiva e dell’indagine diretta sul terreno mutuate dalle scienze cartografiche – porzioni di spazio riconoscibili come unitarie.

Costitutive cioè, di una forma e di una tipologia ben distinte, nel tentativo di sintetizzarne i principali elementi materiali contrapposti o concomitanti – climatici, vegetazionali, geomorfologici, idrografici, faunistici ma anche le opere umane – intesi come fattori che come elementi e legate tra di loro in un equilibrio più o meno durevole o instabile, secondo un orientamento geografico attivo anche in Italia, dalla seconda metà del Novecento in poi.

 

 

 

Per lo storico, il paesaggio è il luogo dove una società proietta sé stessa e i propri rapporti interni, le dinamiche demografiche ed economiche, gli squilibri sociali, le diverse capacità tecniche e culturali, mentre la memoria salda la descrizione degli avvenimenti – gesta o piccole vicende quotidiane – incidendoli nel linguaggio muto e polisemico della natura e delle cose.

O meglio, come ha ricordato Turri, in un linguaggio poco leggibile, poco trasparente, perché fondato su permanenze e continue trasformazioni, spesso obliato, o comunque sommerso dal sovrapporsi di nuovi elementi, oggetti funzionali, monumenti, cfr.

E. Turri, Il paesaggio racconta. Saggio presentato al Convegno della Fondazione Osvaldo Piacentini (Reggio Emilia, marzo 2000).

La storia interagisce col paesaggio,     

non solo in quanto eventualmente lo produce con le sue azioni e relazioni spesso immateriali, ma anche in quanto lo percepisce, si riflette su di esso e gli attribuisce significati e valori particolari e mutevoli anche di ordine psicologico. Ogni volta che la società intraprende un processo (globale o comunque significativo di cambiamento), od ogni volta che mutano l’economia e le relazioni sociali, anche il paesaggio inteso come struttura oggettiva (con i suoi rapporti causali e la sua armonia o disarmonia di ‘forme’ date da elementi naturali e oggetti umani) si trasforma – in genere parzialmente, perché qualche elemento rimane, in apparenza almeno, immutato e testimone del passato, oppure si evolve con velocità diversa, mentre alcuni cambiamenti non determinano modificazioni di rilievo – per adattarsi ai nuovi bisogni (le funzioni) della società. Di conseguenza un paesaggio, in un dato momento storico, rappresenta sempre fasi diverse dello sviluppo di una società,

L. Rombai, Paesaggi culturali, analisi storico-geografica e pianificazione cit. 

È in questo senso che il tentativo di ricostruire attraverso la lettura di un cospicuo gruppo di documenti trascritti all’interno del Liber Privilegiorum la geografia, la consistenza e l’organizzazione del patrimonio fondiario della chiesa di Santa Maria Nuova di Monreale, diventa un esperimento condotto in stretto rapporto con l’osservazione del paesaggio ovvero, delle condizioni ambientali che l’istituzione ecclesiastica ha incontrato nel dominio del proprio territorio, di come lo ha conosciuto, utilizzato e come in esso abbia trovato i modi di organizzarsi, evolvendosi e sfruttando l’ambiente naturale.

Con il termine territorio, spesso abusato, si intende ormai concordemente nel linguaggio storiografico il quadro entro cui compiere analisi coordinate di una molteplicità di sviluppi, anzi sempre più proprio il risultato di questi sviluppi.

A proposito della definizione di territorio, anch’essa piuttosto sfuggente, è interessante rileggere quello che scrivevano i vari vocabolari della lingua italiana, da metà Ottocento in poi, anche per comprendere come il termine abbia subito una vera e propria evoluzione: da espressione squisitamente giuridica, riguardante la circoscrizione di un ente, la parola ha poi acquisito un’accezione più ampia, che si riferisce alla conformazione geomorfologica e alle caratteristiche sociali e antropologiche.

Per questo excursus, cfr.

P. Guglielmotti, Ricerche sull’organizzazione del territorio nella Liguria medievale, Firenze, Firenze University Press 2005, p. 8.

v. anche una recente iniziativa editoriale, nata a Pisa e incentrata su questo tema: si tratta di Locus. Rivista di Storia e Cultura del Territorio

 

Elenco cronologico dei documenti

Struttura, caratteristiche e contenuti del Liber

Bibliografia su Paesaggio e Memoria

Bibliografia sulla Storia Agraria

 

 

 

 

 

 

Parlare di territorio per i secoli passati, ed in particolare per l’età medievale, è – ovviamente – una convenzione terminologica propria della storiografia, incapace di rispettare la pluralità semantica riscontrata nelle fonti.

Si tratta, allo stesso tempo, di un’astrazione e di un’indicazione ben riconoscibile di un ambito tematico di lunga tradizione, perché assai fertile: è infatti su quello che definiamo territorio che si traducono concretamente i comportamenti di un gran numero di attori, che hanno peso e qualità variegati. Quando si parla di territorio e di territorialità si ha in mente qualcosa di più preciso, di politico e diverso da spazio, che si presta a richiamare più larga gamma di argomenti. Anche di recente sono stati proposti differenti approcci metodologici alla storia del territorio e delle località e all’interazione dello spazio; benchè con differenti livelli di esplicitazione, si sta tuttavia attuando una sostanziale convergenza di interpretazioni nel leggere il territorio non più come qualcosa di dato, non più come cornice in cui le cose succedono, bensì come qualcosa di costruito, una produzione cui si mette mano quasi senza sosta e con strumenti differenziati,

P. Guglielmotti, Linguaggi del territorio, linguaggi sul territorio: la val Polcevera genovese (secoli X-XIII), in Linguaggi e pratiche del potere. Genova e il Regno di Napoli tra Medioevo ed età moderna, a cura di G. Petti Balbi e G. Vitolo, Salerno, Pietro Laveglia editore 2007 (Centro interuniversitario per la storia delle città campane nel medioevo. Quaderni, 4), pp. 241-268.

Condotta con la consapevolezza di utilizzare nozioni che, pur nella loro ambiguità semantica, sono state largamente impiegate nell’analisi storica, la verifica si è dunque giovata di categorie interpretative piuttosto eterogenee tra loro, intrecciandosi con temi e analisi che negli ultimi anni hanno costituito significative novità o complete rivisitazioni di prospettive consolidate.

 

 

In particolare, proprio l’approfondimento sistematico e capillare della ricerca sui singoli patrimoni ecclesiastici, attraverso i quali meglio comprendere e definire l’incidenza della Chiesa sulla società medievale, ha suggerito alla medievistica italiana degli ultimi decenni la possibilità di un approccio diverso a problematiche fino a quel momento esclusive della sfera agraria1.

 

I poteri signorili sul territorio e la gestione della terra hanno infatti rappresentato il punto di contatto tra due angolazioni disciplinari diverse – la storia economica e quella delle istituzioni – superando una dannosa dicotomia e approdando ad un ricco filone di studi che, sulla scia del magistrale lavoro di Paolo Grossi sulle abbazie benedettine dell’Alto Medioevo italiano2, si è avviato nella direzione di un fecondo sviluppo di ricerche mirate ma supportate da ampi orizzonti prospettici.

«Mentre la più generica cultura storica soffre di scarsa chiarezza nell’uso indifferenziato dei concetti di terra e territorio, avviene d’altra parte che, a livello superiore di specializzazione, di terra si siano occupati nel nostro secolo in prevalenza gli storici dell’economia, di territorio gli storici del diritto e delle istituzioni»,

G. Sergi, Storia agraria e storia delle istituzioni, in Medievistica italiana e storia agraria. Risultati e prospettive di una stagione storiografica. Atti del Convegno di Montalcino (12-14 dicembre 1997), a cura di A. Cortonesi e M. Montanari, Bologna, Clueb 2001 (Biblioteca di storia agraria, 18), pp. 155-164:155.

 

Economia delle campagne e sfruttamento del suolo

Strategie di gestione del patrimonio

 

 

Come ha ricordato Philip Jones, esiste infatti in Italia una splendida tradizione di storia locale, ancora viva e attiva e che, superando i limiti dei rapporti regionali  «potrebbe dare risultati di un valore incalcolabile se alleata alla storiografia europea dell’agricoltura medievale». Vai alla Bibliografia sulla Storia Agraria

Interventi sul territorio, insediamenti rurali, strutture materiali, organizzazione fondiaria, ricostruzione del paesaggio agricolo e modelli di conduzione della proprietà – motivi cioè largamente rintracciabili nelle attestazioni documentarie degli archivi vescovili e monastici – sarebbero in quest’ottica l’occasione di un doveroso incontro tra una ricerca indirizzata al dominio territoriale degli enti ecclesiastici e grandi temi storiografici.

Analisi delle divisae di Monreale

Le forme dell’insediamento

L’Archivio e il Tabulario di Santa Maria Nova

Bibliografia su Paesaggio e Memoria

 

 

 

 

 

Questo vivace scenario storiografico inquadra la prospettiva nella quale si prova a parlare congiuntamente di terra, territorio e paesaggio all’interno dell’esteso spazio geografico dominato dalla signoria ecclesiastica di Monreale: un’area di civiltà plurali succedutesi nel corso dei secoli centrali del Medioevo, in un alternarsi di vicende e lacerazioni spesso drammatiche, eppure caratterizzata da un’individualità ben precisa, peculiare proprio per l’attitudine a rigenerarsi nel ricambio continuo di popolazioni e insediamenti.

Nella fondazione e nei successivi sviluppi dell’arcivescovato – la cui costruzione rimodella la geografia amministrativa di buona parte della Sicilia – si delinea infatti l’opportunità di intravedere, al di là dell’aspetto politico e giurisdizionale, un territorio contraddistinto da una marcata ruralità, dalla prevalenza dell’attività agricola e dall’incidenza del latifondo: elementi in cui concretamente si declina l’economia monrealese e che trovano conferma nelle attestazioni documentarie trascritte nel Liber Privilegiorum.

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Il cartulario è dunque il luogo in cui l’autorità ecclesiastica, nel tentativo compiere un’accurata ricognizione delle prerogative governative e delle pratiche di sfruttamento, mantenimento e controllo della zona, sedimenta la propria memoria patrimoniale trascrivendo le bolle di donazioni, gli atti di acquisto e scambio, la documentazione processuale e i contratti di gestione indiretta.

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La redazione di un cartulario – tanto in ambito ecclesiastico che comunale – è sempre connessa agli interessi patrimoniali e all’intenzione di definire con chiarezza beni e diritti appartenenti ad una determinata istituzione.

Restano chiaramente esclusi da questa tipologia documentaria i documenti propriamente finanziari, come conti e stati delle rendite o pagamenti e riscossioni.

Nel caso della diocesi di Monreale, i registri gestionali, conservati nel Fondo Mensa dell’Archivio Storico della Curia Arcivescovile di Monreale, sono piuttosto tardi.

Il codice è quindi fonte privilegiata per rintracciare un’identità basata sul possesso di beni e diritti, e offre abbondante materia per un’analisi orientata alle interferenze tra il sistema politico e quello economico-topografico della signoria: due indirizzi di ricerca che proprio per il dominatus in questione vantano trattazioni quasi sempre indipendenti tra loro e che in questa sede si cercherà, invece, di presentare in parallelo.

L’esame delle carte, che confermano la natura del liber come prodotto di una cultura fondamentalmente giurisdizionale e pratica, permette inoltre di ricostruire una griglia di lettura topografica, attenta a mantenere la coerenza della dimensione spaziale locale ma che, attraverso il supporto offerto dalle fonti archeologiche e toponomastiche, può assumere connotati dinamici, rivelando l’importanza di una costruzione territoriale particolarmente significativa dal punto di vista antropologico e sociale perché frutto dell’elaborazione complessa, e sempre mutevole, delle interazioni tra il potere monastico e la società locale10.

Questa metodologia è stata suggerita, tra gli altri, anche da Philip Jones:  «come in altri paesi d’Europa, bisognerà diversificare il più possibile i metodi di ricerca, e collegare con la storia in senso stretto studi di altre scienze affini: dalla geografia alla topografia, che già dal secolo scorso hanno dato contributi notevoli, alla toponomastica storica, ancora poco coltivata in Italia, e più ancora all’archeologia con le nuove scienze ausiliarie, la fotografia aerea e l’analisi radiocarbonica dei depositi lacustri che, sebbene promettano di dare risultati apprezzabili, sono finora state usate sistematicamente solo dagli studiosi di storia antica. Soltanto da una simile collaborazione emergerà pian piano il vero profilo dello sviluppo nelle campagne medievali»,

P. Jones, Per la storia agraria italiana nel Medioevo cit., pp. 206-207.

Il rapporto tra centro e periferia è un’opposizione comoda, che consente di situarsi – in modo apparentemente rapido – ad una delle estremità, sebbene a lungo andare risulti fuorviante perché tendenzialmente o implicitamente riconosca capacità d’iniziativa solo al primo dei due poli. L’opinione secondo la quale il rapporto tra centro e periferia sarebbe, soprattutto in epoca medievale, un problema specifico dell’Italia Centro-Settentrionale, essendo le comunità cittadine meridionali incapaci di proiettarsi nello spazio circostante in modo sistematico e organizzato e di svolgere rispetto ad esso un ruolo di direzione, trova una confutazione proprio nel ruolo che sul contado assunsero, al Sud e sopratutto in Sicilia, le istituzioni ecclesiastiche, con l’attuazione di vere e proprie strategie di controllo e gestione economico-amministrativa dei propri territori, delle campagne e della popolazione ivi residente.

Fondamentale per i concetti di centro e periferia:

J. Le Goff, Centro/periferia, in Dizionario dell’Occidente Medievale. Temi e percorsi, 2 voll., a cura di J. Le Goff e J.-C. Schmitt, Torino, Einaudi 2003, I. Aldilà-lavoro, pp. 243-256.

 

 

 

Il tema della formazione e della gestione del patrimonio immobiliare dell’arcidiocesi attraverserà un percorso cronologico lineare, sintetizzabile in tre stadi:

l’espansione territoriale nei secoli XII-XIII,

la battuta d’arresto coincidente con i disordini e lo spopolamento delle campagne dell’epoca federiciana

il periodo della gestione indiretta e del regime enfiteutico.

Percorrendo queste fasi, l’indagine si propone anche di illustrare le connessioni tra l’assegnazione di ampie dotazioni territoriali agli enti ecclesiastici, pratica tipica della politica normanna nel Regno di Sicilia, e la rigenerazione delle strutture agrarie di numerose zone dell’isola, condotta attraverso il ripopolamento e il controllo di aree a forte incidenza musulmana.

 

 

In questo senso Monreale e il suo territorio, non riducibili alla sola latinità e forse invece pienamente mediterranei, rappresentano un osservatorio privilegiato per approfondire quelle linee di tendenza che si ritrovano, più o meno costantemente, nelle vicende degli enti ecclesiastici che hanno costruito un dominio fondiario simile, all’interno di un diffuso modello egemonico cui istituzioni diverse, religiose o civili, hanno saputo attingere per dare forma al proprio potere locale.

 

 

 

1  La riflessione è di G.F. Golia, Monasteri benedettini, proprietà e territorio, in Benedictina, 51 (2004) 1, pp. 181-232:192.

2  Cfr. P. Grossi, Le abbazie benedettine nell’alto medioevo italiano. Struttura giuridica, amministrazione e giurisdizione, Firenze, Le Monnier 1957. Un panorama generale sull’economia monastica settentrionale è fornito anche da R. Comba, I cistercensi fra città e campagne nei secoli XII e XIII. Una sintesi mutevole di orientamenti economici e culturali nell’Italia nord-occidentale, in Studi Storici, 26 (1985) 2, pp. 237-262, con abbondante bibliografia di riferimento.