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Il codice Vat.Lat. 3880: una tradizione controversa

Agli inizi del Novecento, Carlo Alberto Garufi riceveva l’incarico di ispezionare il Tabulario di Santa Maria Nuova e redigerne un inventario.

 

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Lo studioso aveva ricevuto la commissione dall’allora ministro della Pubblica Istruzione, su proposta del Direttore dell’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Sicilia, il prof. Giuseppe Patricolo, cfr.

C.A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di Santa Maria Nuova in Monreale cit., in part. le pp. V-VI.

Sull’attività di Garufi, v.

C.G. Mor, L’opera scientifica di C.A. Garufi, in La presenza della Sicilia nella cultura degli ultimi 100 anni. Atti del Congresso storico Internazionale tenuto a Palermo dalla Società Siciliana per la Storia Patria nel centenario della fondazione (20-25 ottobre 1975), 2 voll., Palermo, Palumbo 1977, I, pp. 274-282.

 

 

Il chiostro di S. Maria Nuova

Dopo un’accurata analisi dei documenti, allora custoditi in una stanza nel lato sud del chiostro del monastero e conservati in buste di carta filigranata disposte in ordine cronologico, in armadi chiusi a sistema Fumagalli, lo studioso dava alle stampe il suo Catalogo illustrato del Tabulario di Santa Maria Nuova in Monreale, tuttora un punto di partenza imprescindibile nell’approccio alla diplomatica monrealese.

Nell’affrontare il suo studio Garufi si era servito del fondo diplomatico esistente presso l’archivio di Monreale, che aveva comparato con le pubblicazioni di Michele Del Giudice1, di Giovan Battista Tarallo2 e con il  Sommario dei privilegi dell’Arcivescovado di Monreale per ordine d’anni di Gian Luigi Lello, a proposito del quale Paolo Collura aveva sostenuto fosse uno dei primi esempi di storia diplomatica di una singola chiesa3.

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Il repertorio, inserito all’interno della Historia della Chiesa di Monreale4 , era stato in realtà compilato dall’arcivescovo Ludovico II Torres, colto mecenate in intimità con quasi tutti i letterati del suo tempo e personaggio fra i più importanti della Restaurazione Cattolica.

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Dal 1574 l'arcivescovo aveva iniziato ad esplorare l’archivio della diocesi di Monreale pubblicando a Roma, con lo pseudonimo di Gian Luigi Lello – suo segretario personale – dapprima una Descrittione del real Tempio et monasterio di Santa Maria Nuova di Monreale, e poco dopo l’Historia, contentente la Descrittione, le Vite degli Arcivescovi, Abbati e Signori di Monreale per annali, il Sommario dei privilegi dell’Arcivescovado di Monreale per ordine d’anni e il De Reaedificatione monasterii San Martini de Scalis.

La pubblicazione prodotta dall’arcivescovo Torres al termine delle sue indagini sul Tabulario monrealese, fu inconsapevolmente causa di una errata interpretazione sulla reale tradizione del Liber privilegiorum della chiesa.

Nel Catalogo del Garufi, a proposito del codice rassachiano, si legge infatti:

di questo codice si fecero, a testimonianza del Lello, quattro copie, di cui una si conserva nella Biblioteca Vaticana Codici Latini nr. 3880, le altre si conservavano in Monreale,

C.A.Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di S. Maria Nuova in Monreale cit., pp. VI-VII.

 

 

 

Lo studioso non attribuisce esplicitamente ad Arnaldo di Rassach l’ordine di stesura delle quattro copie, come non lo dice il Torres, dal quale aveva tratto la notizia: tuttavia così sembra essere stata interpretata questa informazione da quanti successivamente si sono occupati della questione.

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Primo fra tutti Gaetano Millunzi, che nel 1903, riferendosi ai diplomi, affermava che Rassach

li fece copiare in carattere gotico, in quattro esemplari membranacei, di cui uno è attualmente conservato alla Biblioteca Vaticana,

G. Millunzi, Il Tesoro, la Biblioteca e il Tabulario della Chiesa di Santa Maria Nuova in Monreale cit., p. 251.

 

Ma anche più recentemente Giuseppe Schirò, nell’illustrare il patrimonio librario della Biblioteca del Seminario di Monreale, citando la copia del Liber Privilegiorum ivi conservata, scrive:

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di questa raccolta il Rexac fece compilare quattro copie, ma ne rimangono solo due: quella della Biblioteca Vaticana (codici latini n. 3880) e questa,

G. Schirò, Le biblioteche di Monreale cit., p. 29.

Lo storico ribadisce l’affermazione anche nella scheda del cod. F.M.5, testimone frammentario del Liber, redatta per il Catalogo dei manoscritti del “Fondo Monreale” della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, dove si legge:

«del Liber Privilegiorum Sanctae Montis Regalis Ecclesiae, in cui sono raccolti 84 diplomi in latino dei privilegi concessi alla chiesa di Monreale nei primi secoli della sua esistenza, furono redatte quattro copie a cura di Arnaldo di Rexac (…). Oltre al nostro frammento, ne rimangono due copie complete di cui una conservata presso la Biblioteca Vaticana (Codici Latini n. 3880) e una presso la Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Monreale (XX. E. 8)»,

Catalogo dei manoscritti cit., pp.30-31.

 

In realtà, se è possibile sostenere che i mss. F.M.5 e XX.E.8  siano effettivamente due delle quattro copie ordinate dall’arcivescovo Arnaldo, lo stesso non si può fare per il codice Vat.Lat. 3880: per il quale l’esame della scrittura, la fattura del codice, la filigrana e soprattutto il fatto che l’ultimo documento in esso riportato sia datato 4 Dicembre 1464, inducono a fissarne la stesura nella seconda metà del XV secolo, o addirittura quasi a ridosso del XVI.

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Nulla sappiamo sull’origine e la provenienza del manoscritto, né tantomeno sul suo redattore: assenti la sottoscrizione del copista, le note topiche, croniche e quelle di possesso, si possono avanzare soltanto congetture in merito all’epoca e al luogo di composizione.

Quel che è certo, è che si tratta di una seconda redazione, il che già di per sé testimonia l’eccezionale vitalità e funzionalità del progetto rassachiano, le cui motivazioni andrebbero probabilmente inquadrate all’interno di alcune tendenze generali maturate nel tardo Quattrocento quando, nell’ambito del sistema documentario italiano, l’organizzazione si fa più complessa e inizia a basarsi sull’utilizzo di registri differenziati e specializzati, proficuamente impiegati da figure di notai maggiormente consapevoli del proprio ruolo5.

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Un mutamento certo non sostanziale – l’invito è quello a non utilizzare paradigmi e categorie viziate da un uso ideologico e celebrativo della modernizzazione e della razionalizzazione – e comunque presente in germe già nei secoli precedenti, ma che va compreso nella direzione di pratiche più efficienti e specializzate, introdotte per supportare  ragioni di ordine pratico – quali ad esempio la necessità di poter trasportare in luoghi diversi o disporre ed esibire la documentazione6.

 

 

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Nel linguaggio delle fonti medievali, ciò che fonda legittimità e giustifica la rivendicazione di prerogative ricorre infatti all’argomento del suo esercizio continuo o dell’antico diritto di esercitarle: pertanto i mutamenti sono piuttosto considerati delle restaurazioni, e la situazione che viene innovata come una condizione di decadenza rispetto ad un tempo remoto ai cui splendori si intende tornare.

 

Ed è quindi assai possibile che, alla seconda metà del XV secolo, epoca in cui è testimoniata la piena affermazione dell’archivio amministrativo di Monreale – e in particolare il Fondo Mensa e il Fondo Governo ordinario - il sistema scrittorio dell’arcivescovato abbia acquisito una compattezza e una complessità maggiori, e una più solida volontà di conservazione e capitalizzazione del proprio patrimonio informativo.

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Anche per il caso esaminato quindi, si può ipotizzare che la scelta di produrre una seconda compilazione vada compresa alla luce di un periodo di nuove elaborazioni e in una fase di governo più vigorosa, forse a contrastare una trascorsa situazione di difficoltà o crisi dell’autorità.

Se le trasformazioni innescate dalla necessità di controllo di forze sociali e dinamiche di potere nuove o nuovamente assoggettate «costruiscono una sorta di spazio politico comune in gran parte della penisola»7, non è errato presupporre anche per la diocesi di Monreale il tentativo di conservare un dominio sostanziale su territori che continuano ad essere aggregati di particolarismi locali, recuperando una tecnica che rivela logiche comuni e comparabili su tutto il panorama italiano ma che non necessariamente presuppone un singolo avvenimento scatenante quanto piuttosto, la rinnovata esigenza di difendere un insieme di diritti che potevano essere rimessi in discussione o non più riconosciuti.


                  

 

Un cartulario è infatti un prodotto intenzionale e riflette un preciso progetto politico.

L’intenzionalità dei cartulari, per tornare alle battute iniziali, il loro procedere da un esplicito programma di politica documentaria, si traduce per gli storici in una condizione di assoluto vantaggio: consapevolezza questa che, oltre a mettere in guardia, si risolve anche in un ulteriore richiamo alla valorizzazione di questi testi come fonte storica.

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Oscure restano le vicende in seguito alle quali il codice pervenne alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

Nel periodo in cui questa seconda redazione veniva composta, la diocesi di Monreale era retta da Ausias des Puig: nel 1471 l’arcivescovo si trovava a Roma, presso la Curia Pontificia, incaricato da Giovanni II d’Aragona di ottenere l’approvazione di Paolo II per il matrimonio fra il figlio Ferdinando e Isabella di Castiglia e qui, dopo la nomina a cardinale ricevuta da Sisto IV il 7 maggio 1473, si stabilì fino alla morte.

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Con questo, non si vuole forzatamente sostenere che il codice sia arrivato a Roma proprio con l’arcivescovo des Puig, o addirittura che da lui sia stato commissionato: questa ipotesi, basata esclusivamente sulla coincidenza dei tempi, non potrebbe essere confermata da alcuna notizia interna o esterna al manoscritto.

Sicuramente però il cartulario si trovava presso la Biblioteca Apostolica Vaticana alla fine del XVI secolo, quando fu utilizzato dal  Torres per il suo Sommario dei Privilegi: nel quale si contano infatti 227 documenti, alcuni dei quali non compresi nella cassa dei privilegi che ai suoi tempi custodiva il tabulario monrealese, probabilmente estratti dal nostro codice.

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Non è inverosimile congetturare che da allora il Vat.Lat.3880 non sia stato più utilizzato né studiato: non ne fanno menzione Rocco Pirro nella Notitia Metropolitanae Ecclesiae Monteregalensis8 o Michele Del Giudice nella Descrizione del tempio e monasterio di S. Maria Nuova di Monreale9 , che pure inseriscono nelle rispettive opere i principali diplomi attingendoli dal Sommario di Gian Luigi Lello o dalle pergamene stesse; Giuseppe Spata informa che l’abate Tarallo, progettando un’opera che raccogliesse tutti gli atti diplomatici contenuti nel tabulario, «fattosi in Roma, adoperò ogni cura per ricercare la copia che dicevasi dal Lello essere deposta nella biblioteca Vaticana; ma lì non gli fu permesso penetrare»10 .

 

 

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Il progetto del Tarallo era verosimilmente maturato dopo aver assistito l’arcivescovo Benedetto Balsamo nella ricognizione del materiale diplomatico monregalese, avvenuta nel 1834, in seguito al trasferimento della cassa che lo conteneva dal monastero di San Castrenze – dove era stata trasportata nel 1811, a causa dell’incendio del Duomo – al monastero benedettino.

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Effettuando lo spoglio l’arcivescovo Balsamo aveva contrassegnato con la propria firma 208 documenti, numerandoli progressivamente senza tener conto della loro successione cronologica.

Sembra che Giovan Battista Tarallo avesse impiegato sette anni – coadiuvato da un gruppo di benedettini – nel trascrivere i documenti, far tradurre quelli in arabo e in greco, corredarli di note filologiche, storiche, e di un indice cronologico: ma questo codice diplomatico non è stato mai pubblicato, a causa dei temporeggiamenti del governo borbonico e la morte dell’arcivescovo Balsamo, che ne aveva promosso la divulgazione.

Di Carlo Alberto Garufi si è già detto: nel 1939 il suo Catalogo illustrato del Tabulario di S. Maria Nuova di Monreale venne utilizzato come elemento di raffronto per la selezione e il trasporto del materiale diplomatico all’allora Biblioteca Nazionale, dove oggi è tuttora conservato; ma sicuramente nel redigere il testo lo storico non ebbe la possibilità di consultare né il ms. XX.E.8 della BSAM, né il cod. Vat.Lat.388011, motivo per cui nel  suo inventario non compaiono alcuni documenti relativi al monastero, già ai suoi tempi non esistenti più in originale ma presenti nel codice quattrocentesco.

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1  Cfr. M. Del Giudice, Descrizione del tempio e monasterio di S. Maria Nuova di Monreale. Vite dei suoi Arcivescovi, Abbati e Signori col Sommario dei Privilegi, della detta Santa Chiesa di Giovan Luigi Lello. Ristampata ad opera del padre Don Michele Del Giudice priore cassinese, Palermo, Regia stamperia d’Agostino Epiro 1702.

2  Cfr. G.B.Tarallo, Elenco dei diplomi, bolle e pergamene del Duomo di Monreale compilato nel sec. XVI e con annotazioni, Palermo 1834; Id., Catalogo delle edizioni del secolo XV e dei codici della Biblioteca dei PP. Benedettini Cassinesi di Monreale, Palermo, Tip. del Giornale letterario 1835; Id., Cenno storico sulla chiesa metropolitana di Monreale, Napoli, Tip. di G. Ranucci 1848.

3 Cfr. P. Collura, Il Cardinale Ludovico De Torres arcivescovo di Monreale (1551-1609): profilo storico, Palermo, Tip. Boccone Del Povero 1955.

4 Cfr. G.L. Lello, Historia della Chiesa di Monreale, rist. an. dell’ed. Roma, Luigi Zannetti 1596, Bologna, Forni 1967.

5 Per queste considerazioni, cfr. M. Della Misericordia, Le ambiguità dell’innovazione. La produzione e la conservazione dei registri della chiesa vescovile di Como (prima metà del XV secolo), in I registri vescovili nell’Italia centro-settentrionale (secoli XIII-XV). Atti del Convegno di Studi (Monselice, 24-25 novembre 2000), a cura di A. Bartoli Langeli e A. Rigon, Roma, Herder editrice e libreria 2003 (Italia Sacra. Studi e Documenti di Storia Ecclesiastica, 72). In proposito va ricordata anche l’intuizione di Robert Brentano, che non a caso nel 1968 definiva la chiesa secolare italiana «a notarial church», cfr. R. Brentano, Due chiese: Italia e Inghilterra nel XIII secolo, Bologna, Il Mulino 1972 (Nuova collana storica), p. 309 (tit. or.: Two Churches. England and Italy in the Thirteenth Centur, Princeton, Princeton University Press 1968).

6 Di questo parere M.T. Silvestrini, La politica della religione. Il governo ecclesiastico nello stato sabaudo del XVIII secolo, Firenze, L. S. Olschki 1997 (Studi e testi. Fondazione Luigi Firpo, Centro di studi sul pensiero politico), pp. 113-124.

7 I. Lazzarini, Materiali per una didattica delle scritture pubbliche di cancelleria nell’Italia del ‘400, in Scrineum, 2 (2004).

8 Cfr. R. Pirro, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, 4 voll., Panormi, apud haeredes Petri Coppulae 1644-47; nuova ed. riveduta e ampliata in 2 voll., Palermo 1733; rist. anast. con uno scritto di  F. Giunta, 2 voll., Bologna, Forni editore 1987; pp. 451-467.

9 Cfr. M. Del Giudice, Descrizione del tempio e monasterio di S. Maria Nuova di Monreale cit. L’abate cassinese, ripubblicando il sommario di Lello, ne riprodusse il lavoro aggiungendo 50 documenti.

10 G. Spata, Sul cimelio diplomatico del Duomo di Monreale, Palermo, Tipografia Giornale di Sicilia 1865, pp. 39-40.

11 Che infatti non sono mai citati tra le copie dei documenti.