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La fondazione di Santa Maria Nuova e l’espansione del feudo ecclesiastico

 

I lavori di realizzazione del monastero di Santa Maria Nuova, sito nel parco di caccia alle falde del monte Caputo, iniziavano nel 11721 e subito manifestavano l’eccezionalità della costruzione monumentale che, ispirando il proprio impianto musivo a modelli orientali ma strutturandosi architettonicamente come una tipica cattedrale benedettina, acquistava immediatamente carattere cosmopolita.

 

In molti hanno sostenuto che Guglielmo sia stato semplicemente il restauratore di una chiesa precedente, forse di età bizantina: in particolare Federico Pollaci Nuccio ha ipotizzato che l’abbazia di Monreale fosse da annoverare tra le sette chiese fondate in Sicilia da San Gregorio Magno, cfr.

F. Pollaci Nuccio, I papi e la Sicilia nel Medioevo, in Archivio Storico Siciliano, n.s. 25 (1900), pp. 53-87: 58.

Sull’argomento, contrapposte sono state le opinioni di Vito Amico e Rocco Pirro, che avevano entrambi sostenuto l’edificazione dalle fondamenta del complesso abbaziale, mentre l’arcivescovo Francesco Testa, nel comporre la sua Vita di Guglielmo II, aveva attestato come il sovrano avesse semplicemente promosso il restauro e l’ampliamento di un edificio fatto precedentemente erigere da Ruggero II.

Cfr. G. Schirò, Monreale: capitale normanna, Palermo, Sud Europa 1978, p. 26; sulla fabbrica della chiesa v. anche D. B. Gravina, Il duomo di Monreale, Palermo, Stab. tipogr. di F. Lao 1859.

 

Il 15 agosto del 1176, festa dell’Assunta cui era dedicata la nuova fondazione, il re – prendendo a modello la grande donazione di Ruggero II per San Giovanni degli Eremiti, da cui ricopiava interi paragrafi – deponeva sull’altare maggiore la Bolla d’oro con la quale manifestava la volontà di iniziare una lunga serie di concessioni in favore della chiesa, affinchè si avesse prova della sua regale munificenza e nulla mancasse ai monaci per dedicarsi interamente alla preghiera.

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Vai al documento I.1

 

La consegna personale del privilegio dalle mani del re non era soltanto un segno di referenza e pietà cristiana, ma costituiva indubbiamente un momento di forte autorappresentazione per Guglielmo II, con un valore di molto maggiore rispetto al gesto simile, compiuto nel settembre 1169, per la consacrazione di Gualtiero ad arcivescovo di Palermo, cfr.

H. Enzensberger, Il documento regio come strumento del potere, in Potere, Società e Popolo nell’età dei due Guglielmi. Atti delle IV Giornate Normanno-Sveve (Bari - Gioia del Colle, 8-10 ottobre 1979), Bari, Dedalo 1981 (Atti, 4), pp. 103-138:132.

Il diploma, oltre all’indiscusso valore storico, merita attenzione anche per le sue componenti formali e retoriche, a partire da questa arenga dal forte carattere propagandistico che – in linea con i preamboli dei diplomi emanati dai sovrani normanni – esprime in maniera articolata una giustificazione ideologica del Regno2 . Nel prologo del privilegio è possibile infatti rintracciare il topos della previdenza reale nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche, che sviluppa il concetto di una monarchia priva di superiori o di limiti istituzionali e conseguentemente, di un titolo regio che è dono divino – come lo era stato per gli imperatori romano-bizantini – già ampliamente rintracciabile nella diplomatica e nell’iconografia ruggeriana, e che da questo passerà e si tramanderà a tutti i successivi atti in favore della diocesi monrealese e, più in generale, delle chiese siciliane.

Sui caratteri della documentazione prodotta dalla cancelleria normanna e sveva, cfr.

H. Enzensberger, Il documento regio come strumento del potere cit., in part. le pp. 130-131.

 

Il documento prosegue poi con una dispositio, piuttosto articolata, dove si legge la conferma del re normanno, in conformità al diritto lui spettante quale legato apostolico nel Regno di Sicilia, della bolla Ex debito suscepti regiminis che Alessandro III aveva inviato il 30 dicembre del 1174 per lodare i lavori di costruzione del monastero, e il conferimento ai monaci, nel rispetto della regola benedettina, del diritto di eleggere il proprio abate alla morte del titolare da lui designato.

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documento II.1

La relazione col Papato

 

 

Segue l’assegnazione in feudo del territorio formato dai tre castelli di Iato, Corleone e Calatrasi. I tre castelli, definiti dalla documentazione più tarda municipia, erano in realtà già in epoca normanna dei centri amministrativi da cui dipendevano distretti rurali minori, raggruppati attorno ad un casale o ad un elemento di rilievo del territorio. Per essi il re non si riservava il consueto servizio (li concedeva infatti «tam in demanio quam in servitio…sed demanium quidem libere»), ad eccezione delle prestazioni «pro custodiis maritime Sicilie», in caso di guerra o per la sua solenne incoronazione, riservandosi esclusivamente quello dei baroni ivi residenti e disponendo altresì che alla morte di un barone senza eredi il suo possesso passasse in feudo libero al monastero.

 

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Mario Caravale ha attribuito la paternità di questa costituzione, che regolava la materia della successione feudale, proprio a Guglielmo II, cfr.

M. Caravale, La feudalità nella Sicilia Normanna cit., p. 48 e Id., La monarchia meridionale. Istituzioni e dottrina giuridica dai normanni ai borboni, Roma-Bari, Laterza 1998 (Collana di fonti e studi, 6).

Venivano inoltre concessi a Monreale: il vicino casale di Bulchar con i suoi mulini, le chiese di Santa Ciriaca e San Silvestro con tutti i loro possedimenti e casali, la chiesa di San Clemente di Messina e il monastero basiliano di Santa Maria di Maccla in prossimità di Acri, in Calabria; la cappella di San Mauro a Rossano di Calabria e la città di Bitetto presso Bari; e ancora, una casa con giardino a Palermo appartenuta al nobiluomo di corte Martino, un mulino per macinare la canna da zucchero, la vigna del notaio Simone con torre e canneto e quella del conte Silvestro di Marsico, la tonnara di Isola delle Femmine e infine il giardino Marandi presso la sorgente del Gabriele.

A queste donazioni venivano poi aggiunti importanti privilegi tributari e commerciali che rafforzavano il già cospicuo patrimonio di Santa Maria Nuova: il pescaggio senza limitazioni o imposte, la facoltà di tenere cinque saettìe nel porto di Palermo, l’esenzione da ogni tributo doganale, la possibilità di ricevere donazioni sia dentro che fuori il Regno di Sicilia, da qualunque offerente, con l’esenzione della decima e della quarta, e quella di fare legna in ogni bosco del regno, oltre al libero pascolo e transito del bestiame in tutto il territorio siciliano. Si andava cioè già delineando, per questa via, un regime immunitario che si manifestava nei diritti attinenti l’uso della terra, del mare, del porto e che consentiva la libera circolazione per persone, bestiame e merci appartenenti al monastero.

Si tratta, in questo caso, di un diritto in linea di massima presente in ogni diploma di fondazione o dotazione di chiese e abbazie siciliane in epoca normanna, cfr.

P. Corrao, Boschi e legno, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle Ottave giornate normanno-sveve (Bari, 20-23 ottobre 1987), a cura di G. Musca, Bari, Dedalo 1989 (Atti, 8), pp. 135-164:158.

L’assegnazione di terre e diritti immunitari non era fatto nuovo, essendo usanza già rintracciabile in epoca carolingia, ma è indubbio che, attraverso queste concessioni, il sovrano normanno non intendesse soltanto rafforzare economicamente la propria fondazione quanto piuttosto agevolare la creazione di un’isola giurisdizionale in cui «il potere coattivo, a protezione dei beni e delle persone residenti in terra ecclesiastica, passava anche formalmente dall’ordinamento pubblico delle chiese».

G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell’alto medioevo, Torino, Einaudi 1993 (Piccola Biblioteca Einaudi, 594), p. 184.

In merito, interessanti anche le considerazioni di Pietro Corrao: «Sul piano della definizione dei poteri che i concessionari acquisiscono con il riconoscimento del possesso della terra, l’esenzione da ogni prestazione e diritto di natura pubblica (…) ha valore di immunità passiva e attiva, configurando una signoria territoriale in piena regola, a fronte di possessori che appaiono dotati di poteri di natura domestica sui soli abitanti di condizione villanale del proprio casale»,

P. Corrao, Gerarchie sociali e di potere nella Sicilia normanna (XI-XII secolo) cit., p. 467.

 

In altre parole, la dotazione guglielmiana rendeva la Chiesa di Monreale un elemento strutturale dell’unità statale. Si comprende così perché poco dopo la fondazione, l’eccezionalità del progetto-Monreale modificasse la stessa politica patrimoniale di Guglielmo II, che in funzione della nuova signoria ecclesiastica avviava un organico disegno politico con una serie di iniziative e scambi volti a procularle un territorio il più possibile omogeneo.

«Mentre cioè prima l’affare veniva concluso al fine di migliorare il patrimonio demaniale o di accrescere le entrate reali, adesso il re acquista o scambia, spesso a condizioni non particolarmente vantaggiose, soltanto per far dono a Monreale di terreni la cui ubicazione sia particolarmente favorevole ai suoi confini»3.

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Nell’assegnazione di possedimenti a Monreale, come in generale a qualsiasi diocesi siciliana di nuova fondazione, sembra in effetti riscontrabile un’utilità effettiva per la monarchia normanna, che preordinava la distribuzione delle terre al concetto dell’unità politica e alla prevalenza dell’elemento demaniale, riunito all’ecclesiastico, sul baronaggio cercando, attraverso questa strada, di garantire ovunque la presenza regia – seppure con intensità varia – e amalgamare la componente feudale, garantita da rapporti di fedeltà personali tra aristocrazia laica/ecclesiastica e il re, a quella burocratico-statale basata su un apparato di controllo centralizzato ma capillarmente diffuso.

La testimonianza più concreta di questa linea politica è rappresentata dai privilegi che nel cartulario seguono il diploma di fondazione, tutti collocabili a cavallo tra il 1178 e il 1185.

Dei primi sei anni di governo di Guglielmo il Buono si sono conservati quasi il doppio dei documenti che dell’intero periodo di regno di suo padre: 14 sono complessivamente i diplomi noti che il sovrano normanno fece rogare per Santa Maria Nuova di Monreale, il che porta la chiesa, all’interno di un’analisi regionale relativa alla produzione cancelleresca guglielmiana, in posizione dominante rispetto a qualsiasi altra istituzione siciliana dell’epoca.

Seguendo l’ordine cronologico dei documenti contenuti nel cartulario, il 15 agosto 1178– esattamente a due anni dalla deposizione della Bolla d’Oro sull’altare – Guglielmo Il Buono, rinnovando le precedenti concessioni, aggiudicava a Monreale le terre precedentemente appartenute a Goffredo Battalario, con tutti i suoi villani e le pertinenze, come sempre libere ed esenti da qualunque servizio: con l’assegnazione di questa tenuta, che si andava ad aggiungere al precedente nucleo formato dai distretti di Iato, Corleone e Calatrasi, il dominio monrealese formava un territorio compatto di oltre 1.200 km2, raggiungendo il vertice nella scala dei patrimoni ecclesiastici siciliani.

Vai al documento I.1

 

 

 

 

Vai alla Scheda sui Cartulari

Vai al documento I.11

Vai alla Scheda su Guglielmo II

Vai alla Scheda su Goffredo Battallaro

 

documento I.11

divise di Iato, Corleone e Calatrasi

 

 

Ma il re normanno non si fermava, continuando ad arricchire la “sua” chiesaVai al documento I.18 attraverso la donazione di altri casali, terre, diritti: così nel 1180, concedeva all’abbazia la chiesa di Santo Spirito nel porto di Brindisi ; nel 1182 la chiesa del Santo Sepolcro di Messina, la casa del conte Silvestro di Marsico con cappella, forno e orto, la chiesa di San Martino delle Scale fondata da Pietro Indulfo, o Indulso, tesoriere della cappella reale di Palermo e la vigna di Pietro Pittore che era stata ceduta dalla figlia alla curia regia.

Cfr. ASP. Tabulario di S. Martino delle Scale, perg.1; v. anche De reedificatione monasteri Sancti Martini de Scalis,a cura di D. Ciccarelli, Palermo, Luxograph 1994. 

La chiesa donata non va confusa con l’attuale abbazia di San Martino delle Scale, che è opera posteriore, e pare che debba invece essere identificata con la cappella funeraria incorporata, alla fine del XVI secolo, nell’attuale monastero, cfr.

P. Collura, Storia e cultura del monastero di S. Martino,in L’abbazia di S. Martino. Storia, arte, ambiente. Atti del Convegno celebrato presso l’abbazia di San Martino delle Scale (1-3 settembre 1990) a cura di A. Lipari, Palermo, Luxograph 1990, p. 12.

Lo stesso anno, in ottobre, accordava a monaci, servitori e cavalcature del monastero e di tutte le sue obbedienze la possibilità di attraversare lo stretto di Messina senza pagare dazio.

 

Vai al documento I.5

 

documenti I.18, I.5, I.6

 

Nel maggio del 1183, dopo aver concesso a Ruggero di Tarsia di contrarre matrimonio con Maria Malconvenant, costringeva la coppia a rinunciare al possesso della terra di Bisaquino, per la quale non avevano alcun giusto titolo, che consegnava al monastero di Monreale: nel cartulario, il diploma successivo attesta l’avvenuta cessione del territorio in favore del monastero da parte di Ruggero di Tarsia e sua moglie Maria «confitentur se nullum ius habere in Busackino».

Vai alla Scheda su Bisacquino

Vai al documento I.7

Vai al documento I.8

Seguivano, nel marzo del 1184 la donazione del casale Rendicella, con cappella e diritti relativi , quella dei casali Terrusio e Fantasine e della chiesa di Santa Maria Maddalena di Corleone; in ultimo, nel giugno del 1185, Guglielmo II concludeva le donazioni a Monreale con i casali Iuliana, Comicchio, Adragno, La Chabuca e Senure.

Vai alla Scheda sul Casale Rendicella

Vai alla Scheda sul Casale Terrusio

Vai alla Scheda sulla divisa Fantasinae

Vai alla Scheda su Santa Maria Maddalena di Corleone

 

documenti I.9, I.10, I.12

Per la descrizione di tutti i casali v. il il Rollo di Monreale e il doc. I.4

 

 

 

L’elargizione di un territorio così vasto rappresentava, nell’ottica del potere medievale, la base irrinunciabile per l’istituzione ecclesiastica, che attraverso un’economia agricola su larga scala si assicurava un sostentamento adeguato ad assolvere molteplici funzioni politiche e sociali.

È un quadro riscontrabile un po’ ovunque, in Italia come in Europa, cfr.

G. Dilcher, Signoria rurale in Italia e Germania (X-XIII secolo). Problemi e prospettive, in Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli X-XIII,a cura di G. Dilcher e C. Violante, Bologna, Il Mulino 1996 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico. Quaderno, 44), pp. 623-642.

La dotazione feudale e il suo inserimento in un sistema stabilmente organizzato conferivano a Santa Maria Nuova di Monreale – chiesa fortemente integrata nel sistema monarchico in un tempo in cui realtà simili, soprattutto in ambito europeo, tentavano invece l’emancipazione dalle ingerenze imperiali – la qualità di un’ente non isolato dal contesto economico e politico siciliano e che, seppure lontano da una popolazione legata a forme tradizionali di monachesimo, era in grado di inquadrarla attraverso il controllo del territorio: arabi, cristiani, villani, borgesi e nobili erano infatti, seppure a diversi livelli, tutti integrati nel dominio monrealese e a questo si relazionavano e si legavano dando origine, di volta in volta, a rapporti diversi e particolari.

Ma il fenomeno espansivo di Monreale non sembra essere isolato rispetto al più generale ambito italiano, in cui proprio tra XI e XII secolo si assisteva alla crescita del potere economico dei vescovati e il progressivo arrotondamento delle grandi proprietà ecclesiastiche favoriva il sorgere o il ricostituirsi – spesso sulla base di antiche o recenti immunità – di signorie rurali di matrice fondiaria e territoriale: sistema questo, attraverso il quale la funzione di raccordo tra le autonomie laiche e il regno, che il feudo di contenuto politico-giurisdizionale e di carattere ormai patrimoniale sembrava aver assunto, poteva essergli attribuita anche nel contesto del rapporto tra il regno e le chiese4, in un gioco di influenze talmente serrato da tradurre la strumentalizzazione dell’ordinamento ecclesiastico da parte della politica regia in un potenziamento della chiesa di fronte al Regno medesimo.

 

 

 

1  Cfr. S. Candido, Sul Problema Cronologico della “Datatio Ecclesiae” del tempio di S. Maria Nuova, fondato da Guglielmo II il normanno, in Archivio Storico Siciliano, s. 3, vol. 5, Palermo 1953.

2  Lo ha evidenziato H. Enzensberger, Utilitas regia. Note di storia amministrativa e giuridica e di propaganda politica nell’età dei Due Guglielmi, in Atti dell’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, s. V, 6 (1981-82), II: Lettere, pp. 13-21: 35.

3 H. Enzensberger, Il documento regio come strumento del potere cit., p. 138. Sull’argomento v. anche G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano,Torino, Einaudi 1974 (Piccola Biblioteca Einaudi, 379), p. 298 e M. Scaduto, Il monachesimo basiliano nella Sicilia medievale. Rinascita e decadenza, Roma, Edizioni di storia e letteratura 1987 (Storia e letteratura), p. 247.

4 Cfr. G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell’alto Medioevo cit., p. 133.