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All’ombra del duomo:

il primo nucleo dei possedimenti di Santa Maria Nuova

Il 15 agosto del 1176 Guglielmo II, fondando il monastero di Santa Maria Nuova di Monreale, dotava la “sua” chiesa di numerosi beni, primo nucleo dei possedimenti di quello che di lì a poco sarebbe divenuto il più importante arcivescovato della Sicilia.

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La fondazione di Santa Maria Nuova

documento I.1

regesto

 

 

 

Il luogo scelto dal re per edificare la nuova abbazia non ha un suo spazio descrittivo: l’unica indicazione topografica che si può desumere dalla lettura del documento è che l’abbazia veniva elevata «non longe a moenibus felicis urbis nostre Panormi supra Sanctam Kuriaciam».

La chiesa di origine bizantina veniva donata al monastero insieme alle sue pertinenze: probabile sede della diocesi di Palermo durante la dominazione araba, andrebbe localizzata nella campagna occidentale, al di sotto del pianoro su cui era in fase di costruzione l’abbazia regia. In ogni caso, la concessione della chiesa e del casale ad essa annesso sembrerebbero smentire l’idea che l’abbazia di Monreale sia stata elevata sui ruderi di Santa Ciriaca.

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A poca distanza da questa, Guglielmo II assegnava a Santa Maria Nuova anche la chiesa di San Silvestro, precedentemente appartenuta all’arcivescovo di Palermo e oggi scomparsa, ma forse esistente sino alla metà del XVI secolo seppure in rovina.

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Sin dalle origini, Monreale riceveva inoltre la chiesa di San Clemente di Messina e in Calabria, la cappella di San Mauro a Rossano e il monastero cistercense di Santa Maria di Maccla presso Acri.

Quest’ultimo confluiva tra i possessi dell’abbazia monrealese nonostante una lunga tradizione di autonomia e prosperità, sostenuta dalla inclusione nel Liber Privilegiorum di due documenti – uno del duca Guglielmo e l’altro di Ruggero II  – che, descrivendo i confini delle pertinenze di Santa Maria di Maccla, delimitavano insieme alla città pugliese di Bitetto  il gruppo delle proprietà di Santa Maria Nuova sul continente.

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Per Santa Maria di Maccla:

documento I.21 (maggio 1115, VIII ind.)

documento I.22 (3 novembre 1144, VIII ind.)

Per Bitetto:

documento I.24 e I.25, che illustrano la controversia per il possesso della tenuta di Bitetto sorta tra l’arcivescovo di Monreale Caro e Conrado di Monte Fusculo, signore di Grumi, risolta da Costanza d’Altavilla.

Un territorio da difendere: controversie e usurpazioni patrimoniali 

L’estensione della zona e i possedimenti distribuiti in località tra loro distanti, quando non addirittura al di là dello Stretto, sembrano assumere il valore di un’affermazione di carattere politico oltre i confini della Sicilia.

Il possesso di chiese minori e di conseguenza l’allargamento della propria giurisdizione temporale, costituivano infatti per Monreale un buon fondamento di costruzione identitaria, oltre a permettere lo sfruttamento di patrimoni fondiari la cui gestione diretta – e gli oneri ad essa connessi – restavano però alle chiese assoggettate: una pratica comune anche alla grande aristocrazia laica, per la quale Giovanni Tabacco ha coniato la felice espressione «patrimoni entro patrimoni», intendendovi la stratificazione di nuclei di dominio eterogenei, in cui i singoli elementi si subordinavano gli uni agli altri, creando sfere d’azione economica e di potere interne a sfere di potere più ampie1..

Il privilegio di esercitar giustizia

v. anche

documento I.18, con cui Guglielmo II concedeva all’abbazia di Monreale anche la chiesa di Santo Spirito nel porto di Brindisi, costruita da Durante di Brindisi

 

 

 

 

 

 

Nei pressi del monastero, oltre alle citate chiese di Santa Ciriaca e San Silvestro e un mulino di nuova costruzione, l’abbazia di Monreale riceveva anche il casale Bulchar con l’annesso macinatoio.

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Il monastero riceveva numerosi beni immobili anche a Palermo:

  • un mulino per cannamele nelle vicinanze di Porta Rota2;

  • una vigna con torre e canneto, che era stata di proprietà di un notaio Simone;

 

 

Economia delle campagne e sfruttamento del suolo

 

Sempre a Palermo, ma presso il Kemonia, Santa Maria Nuova riceveva anche un edificio con giardino precedentemente appartenuto al camerario regio Martino, che era stato tra gli esponenti più attivi del ricco “partito degli eunuchi” che, in epoca normanna, gestiva l’amministrazione finanziaria.

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Tra le donazioni del 1176 si contano inoltre la tonnara di Isola delle Femmine «prope portum Gali» – forse il portus Gallicus che identificava l’insenatura sottostante Capo Gallo a nord-ovest di Palermo4 – e importanti esenzioni, la cui entità ha fatto anche pensare che potessero costituire l’ostacolo maggiore per l’iniziativa privata e l’impresa mercantile.

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«In verità, vescovi e abati privilegiavano sempre il mercato interno, o la vendita a privati, sui traffici»,

V. D’Alessandro, Il ruolo economico e sociale della Chiesa in Sicilia dalla rinascita normanna all’età aragonese, in Gli spazi economici della Chiesa nell’Occidente mediterraneo (secoli XII-metà XIV). Atti del XVI Convegno Internazionale di Studi (Pistoia, 16-19 maggio 1997), Pistoia, Centro italiano di studi di storia e d’arte 1999, pp. 259-286:272.

In particolare Guglielmo assegnava a Monreale:

  • il diritto di fare e trasportare legna in ogni foresta della Sicilia;

  • il diritto di libero pascolo sulle terre del demanio reale;

  • l’esenzione di servizi e tasse per la flotta, gli uomini, gli animali, i possedimenti e i beni venduti dal monastero.

  • il diritto di possedere cinque pescherecci esenti da tasse, con la possibilità di attraccarli in qualunque porto del Regno.

 

Per la pesca e le attività economiche legate allo sfruttamento del mare cfr.

H. Bresc, La pêche dans l’espace économique normande, in Terra e uomini nel mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle settime giornate normanno-sveve (Bari, 15-17 ottobre 1985), a cura di G. Musca, Bari, Dedalo 1987 (Atti, 7), pp. 271-291.

 

Economia delle campagne e sfruttamento del suolo

documento I.1

 

 

 

Nell’ottobre del 1182 Guglielmo II incrementava le esenzioni per Monreale, concedendo a monaci, servitori e cavalcature di Santa Maria Nuova e delle sue obbedienze di attraversare liberamente lo Stretto di Messina, senza pagare dazio alcuno.

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Gli immobili, le loro pertinentias et possessiones e le immunità venivano assegnati a Santa Maria Nuova in perpetuo, configurandosi quindi come una cessione radicale e immutabile, e «libere absque omni exatione servicii» fatto salvo momenti eccezionali, come spedizioni armate o incoronazioni solenni.

I termini pertinentias e possesiones, rintracciabili in tutta la documentazione relativa alle donazioni per Monreale, indicherebbero «tutte le forme di controllo su un oggetto o su una terra, contrapponendosi al più specifico  proprietà»,

L. Provero, L’Italia dei poteri locali. Secoli X-XII, Roma, Carocci 1998, p. 54.

Sulla perpetuità delle concessioni regie per gli enti monastici cfr.

G. Tabacco, Sperimentazioni del potere nell’alto Medioevo, Torino, Einaudi 1993, in part. p. 109.

Nessuna traccia dei doveri che la monarchia siciliana imponeva ai feudatari: il diritto del re di vitto e alloggio era limitato a poca cosa e gli obblighi onerosi – come il servizio personale di un certo numero di giornate lavorative sulle terre del demanio – non sembrano avere mai impegnato il monastero.

Sempre nella prima donazione per Monreale, rilievo particolare assume poi l’assegnazione in libero demanio dei tre castella di Iato, Corleone e Calatrasi.

lente

lente

 

Nella documentazione monrealese, l’uso del termine castellum con significato di abitato fortificato di medie dimensioni e rilevanza, non infrequentemente viene ambiguamente alternato a castrum, che generalmente designa il fortilizio isolato, cfr.

F. Maurici, Castelli medievali in Sicilia: dai bizantini ai normanni, Palermo, Sellerio 1992 (La pietra vissuta, 5).

 

Le forme dell’insediamento

 

La Curia manteneva le prestazioni dei baroni (difesa delle coste, partecipazione a eventi eccezionali e gestione dei castelli) i cui beni feudali, in mancanza di successori, sarebbero comunque stati destinati alla Chiesa.

Esattamente due anni dopo la bolla di fondazione, con privilegio offerto sull’altare del monastero durante la festa dell’Assunzione, Guglielmo II completava il primo quadro territoriale pensato per Monreale concedendo all’abbazia il castello e i villani precedentemente appartenuti a Goffredo Battallario, ancora una volta esenti da qualunque servizio.

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Con questi primi privilegi, cui era sottesa la precisa volontà di costituire una base solida e cospicua, Guglielmo II dotava l’abbazia di Santa Maria Nuova di un territorio consistente, costruito sostanzialmente attorno alle quattro aree fortificate di Monte Iato, Corleone, Calatrasi e Batellaro, esteso per oltre mille km2 su buona parte del Val di Mazara: una zona profondamente islamizzata, dove il peso demografico della popolazione latina – nonostante la conquista – era quasi nullo.

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Per una discussione e presentazione della storiografia sul tema si può vedere il primo capitolo di D. Ligresti in

Id., Dinamiche demografiche nella Sicilia moderna (1505-1806), Milano, Franco Angeli 2002 (Storia, 307), oltre al classico M. Aymard, La Sicilia. Profili demografici, in Storia della Sicilia, Napoli 1978. Sul panorama demografico dell’Europa medievale cfr. J.C. Russell, Late Ancient and Medieval Population, Philadelphia, The American Philosophical Society 1958.

La singolare creazione politico-religiosa del sovrano, nel tentativo di legare strettamente i villani alla terra, sposava dunque il ruolo di controllo e acculturazione dei musulmani sottomessi che la gerarchia ecclesiastica era stata chiamata a svolgere fin dagli avvii della politica normanna.

 

 

Senza negare l’importanza dell’apporto monastico alla ristrutturazione del suolo e all’organizzazione del lavoro per la messa a frutto delle terre da coltivare5, la ragione principale dell’assegnazione dei possedimenti ad un ente ecclesiastico restava il controllo della regione.

 

Monreale nasceva per essere chiesa di frontiera, creata per attuare attraverso strategie di tutela e gestione economica – più che religiose – l’inquadramento politico di un territorio evidentemente problematico.

 

 

 


1 Cfr. G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino, Einadudi 2000, p. 209.

2  «Molendinum unum ad molendas cannas mellis, quod Sarracenice dicitur masara». Simili espressioni  suggeriscono la difficoltà di adoperare nomi arabi, cfr. S. Scibilla, Palermo negli atti del notaio Bartolomeo de Citella: il Cassaro, l’Albergheria e le contrade fuori porta, in Palermo medievale. Testi dell’VIII Colloquio Medievale (Palermo, 26-27 aprile 1989), a cura di C. Roccaro, Palermo, Officina di Studi Medievali 2001, pp. 131-140:137.

3  «(…) vineam que fuit quondam Silvestri comitis Marsici, quam curia nostra emit a comite Guillelmo filio suo

4 Cfr. M. Scarlata, Configurazione urbana e habitat a Palermo tra XII e XIII secolo cit., p. 172. Nessun indizio, se non l’assonanza dei nomi, supporta però questa ipotesi.

5 Cfr. S. Tramontana, Il Regno di Sicilia. Uomo e natura dall’XI al XIII secolo, Torino, Einaudi 1999, pp. 34-35.