Vai al file pdf

La memoria conservata.

L’Archivio e il Tabulario di Santa Maria Nuova

Il concetto di scrittura declinato nei paragrafi precedenti può essere sinteticamente racchiuso nel binomio “memoria-identità”, attraverso il quale è stato stabilito il ruolo cruciale del Liber Privilegiorum di Monreale nel legittimare il valore politico e istituzionale della fondazione ecclesiastica.

L’idea di una stretta connessione tra identità e memoria, variamente articolata e discussa nelle sue molteplici implicazioni da filosofi, sociologi, antropologi e storici, è del resto largamente penetrata in forme consapevoli o irriflesse anche nel discorso storiografico, che su questo dato ha avviato negli ultimi anni numerose analisi volte ad indagare i complessi rapporti tra le scritture, la loro conservazione e la costruzione identitaria di individui e collettività.

La memoria, come ha scritto Jacques Le Goff in un testo ormai classico, «è un elemento essenziale di ciò che ormai si usa chiamare l’identità, individuale o collettiva, la ricerca della quale è una delle attività fondamentali degli individui e delle società d’oggi».

J. Le Goff, Memoria, in Enciclopedia. VIII, Torino, Einaudi 1979, pp. 1004-1093:1012-1013.

La bibliografia sul concetto di memoria è immensa: per un’estesa riflessione sui suoi molteplici significati e le sue ramificate implicazioni, anche nella società contemporanea, il riferimento d’obbligo è a

P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, a cura di D. Iannotta, Milano, Cortina 2000.

 

 

 

Il prepotente emergere di questo dualismo, in cui l’identità rappresenta il polo privilegiato attorno a cui ruota un concetto dall’ampio spettro semantico quale è – appunto – la memoria, sembra caricarsi di un irresistibile fascino che ne spiega l’uso, e sovente l’abuso, ed è altresì al contempo fonte di numerose ambiguità che invece possono essere, seppure in modo schematico, chiarite.

Come tutte le memorie funzionali infatti, la memoria-identità è necessariamente selettiva e ricostruttiva, e indirizza verso prodotti della cultura scritta che assumono ideologie e vesti grafiche ben delineate – un esempio in tal senso è fornito proprio dal cartulario monrealese – lontane, nelle finalità così come negli esiti, da quel processo di “esteriorizzazione” del ricordo su cui si fonda invece un archivio.

Il riferimento è ovviamente a

A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, II: La memoria e i ritmi, Torino, Einaudi 1977, pp. 304-312 .

 

L'archivio è, in qualche modo, una tecnologia della memoria.

Ma è una forma di memoria caratterizzata da attributi assai diversi da quelli della memoria-identità che permea la costruzione di un libro di privilegi. Vai alla Scheda sui Cartulari

 

Cfr.

S. Vitali, Memorie, genealogie, identità, in Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea, a cura di L. Giuva, S. Vitali, I. Zanni Rosiello, Milano, Bruno Mondadori 2007, pp. 67-134:106.

Sul rapporto tra archivi e memoria esiste ormai una consistente bibliografia internazionale, mentre minore sembra essere la riflessione italiana; cfr. in particolare

L’archivio appartiene ad una dimensione diversa, quella della memoria-registrazione e della memoria-deposito che insieme costituiscono un tentativo, o uno sforzo, di dare una stabile consistenza a ciò che deve essere ricordato e sono il risultato di un processo di oggettivazione rispetto al quale la memoria-identità si configura invece come un sistema dinamico e carico di soggettività.

Sicchè mentre quest’ultima è decisamente selettiva, la memoria-registrazione e quella di deposito consentono, se adeguatamente funzionanti, il recupero indifferenziato e senza gerarchie di valori di ciò che è stato ad esse affidato. Riprendendo una bella citazione di Stefano Vitali,

la memoria-registrazione e la memoria-deposito sono fredde e asettiche, la memoria-identità è calda e ricca di risonanze,

S. Vitali, Memorie, genealogie, identità cit., p. 113.

Per chi si occupa di storia, se è vero che l’analisi storiografica è una conoscenza mediata da fonti, il rapporto con l’archivio e le risorse documentarie che esso è in grado di offrire è una relazione ineludibile.

L’ingresso in archivio è parte di un complesso gioco di scacchi in cui, «dalle molte possibili mosse che si possono fare, conseguono tante e non tutte prevedibili conseguenze»1.

Lo stesso Vitali ricorda inoltre come,

nel corso della storia, il mutamento delle forme di dominio e delle loro articolazioni istituzionali ha segnato in modo decisivo non solo la geografia degli archivi, cioè la loro aggregazione e loro organizzazione, ma anche le modalità della loro organizzazione, del controllo esercitato su di essi nonché, in ultima analisi, delle ragioni profonde che hanno sovrinteso alla loro stessa produzione e, soprattutto, alla loro tradizione e utilizzazione nel tempo,

S. Vitali, Premessa a Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea, a cura di L. Giuva, S. Vitali, I. Zanni Rosiello, Milano, Bruno Mondadori 2007, p. VIII.

Nel panorama documentario monrealese l’archivio non è, in effetti, luogo meno importante del liber anche se, ai fini della ricerca intrapresa, lo si considera un elemento marginale: la ricchezza delle implicazioni politiche, sociali, culturali della produzione e conservazione delle carte condannano – in uno studio le cui finalità esulano un orientamento specifico all’archivio – ad un approccio necessariamente superficiale.

Vale tuttavia la pena di spendere qualche parola sulle tipologie di custodia che interessarono la documentazione di Monreale, in virtù del legame che la costruzione archivistica e la sua amministrazione hanno instaurato, in epoca medievale, con il potere locale.

Il chiostro dell'abbazia di Santa Maria Nuova

Sebbene infatti non necessariamente risulti fondamentale rispetto alla disseminazione e alla frammentazione di quella memoria in grado di legittimare, attraverso la pratica cancelleresca prospettata dal liber, il potere sul territorio dominato, l’archivio come deposito di carte o come reticolo di scritture reperibili – nel suo lento affermarsi e accumularsi nel tempo – ha avuto storicamente un ruolo centrale nel funzionamento interno della comunità e nei rapporti che essa è stata in grado di stabilire con gli altri soggetti politici del sistema socio-istituzionale.

Perno dell’amministrazione dell’ente, l’esistenza e il controllo dell’archivio consentivano di sottoporre l’attività gestionale a controlli e riscontri, di ritrovare le informazioni relative ad entrate e uscite, ai beni acquisiti o venduti, a coloro che li avevano ricevuti in concessione, ai tributi che questi ultimi dovevano.

 

 

Nel quadro costituzionale del basso medioevo siciliano, che supponeva labili formalizzazioni delle posizioni dei diversi soggetti istituzionali e dei loro rapporti – sottoposti a continue riaffermazioni e ridefinizioni – l’affermazione dei diritti consentita dalla custodia delle carte all’interno dell’archivio permetteva inoltre l’esercizio indisturbato e continuo delle prerogative possedute dalla signoria monrealese: la stesura e il possesso di documenti di tale natura nel proprio archivio suffragavano infatti la legittimità delle attribuzioni fiscali, giurisdizionali o patrimoniali, di cui permettevano l’esercizio concreto.

 

Come e più che per le biblioteche, «l’origine degli archivi monastici derivava da ragioni di pratica utilità, prima fra tutte la conservazione, contro ogni eventuale contestazione o rivendicazione, dei documenti relativi alla fondazione e alla storia del monastero, nonché dei privilegi e delle donazioni successive»,

G. Penco, Storia del monachesimo in Italia: dalle origini alla fine del Medioevo, 2 voll., Roma, Ed. Paoline 1968, II, pp. 468-69.

Non è dunque casuale il filone continuo di tradizione rintracciabile attraverso le carte degli archivi monastici, capitolari e vescovili, non in genere possibile per i feudi laici, che sembra essere garantito dalla maggiore oculatezza amministrativa e da una più perfetta organizzazione archivistica degli enti religiosi, dal flusso costante di donazioni e concessioni contrattuali e, soprattutto per i monasteri, «dalla circostanza di vigile circospezione nei confronti di altri poteri, che li spingeva a documentare ogni atto patrimoniale»2.

Si tratta, ovviamente, di aspetti abitualmente sottolineati nella riflessione storiografica dedicata ai processi di scritturazione e alla costituzione degli archivi, e che non andrebbero assunti in una prospettiva univoca, soprattutto in relazione alle molteplici valenze della produzione e conservazione documentaria.

Anche in questo caso infatti, le scritture pratiche – proprio nel momento in cui perseguivano obiettivi di amministrazione e rivendicazione di diritti – assumevano significati meno immediatamente pragmatici, contribuendo ad organizzare la memoria dell’amministrazione locale e parallelamente ad esibire, con i loro caratteri estrinseci, il prestigio dell’istituzione che le produceva.

 

 

 

 

Vai alla Bibliografia su Scrittura e Potere

In questo senso anzi, il liber di Santa Maria Nuova – dove si incarna la manifestazione più evidente delle ambizioni della diocesi monrealese come istituzione politica – si colloca al centro di un continuum ideologico che si sviluppa tra l’archivio e il tabulario: luoghi in cui, parallelamente, sembra moltiplicarsi la capacità dell’ente monastico di rivendicare e certificare i propri diritti, assicurarsi introiti, accentrare e comporre la vita sociale e pubblica, ergersi a punto di riferimento identitario che custodisce e seleziona la memoria.

Vai a Genesi e retorica del Liber

 

 

 

La storia dell’archivio diocesano di Monreale, dove si conserva la documentazione relativa alle attività dell’arcivescovato fino al 1812 – anno in cui vennero aboliti i privilegi feudali e cessarono conseguentemente i poteri secolari dell’arcivescovo – sembra essere strettamente legata alle origini e alle successive vicende della fondazione monrealese.

L’archivio, che dal XV ebbe sede nella Casa comunale – appunto detta Arcivu – conservava infatti la documentazione relativa alle attività della diocesi istituita da Guglielmo II ed avente funzioni religiose, civili e giudiziarie sul territorio dominato da Monreale, da cui gli derivava  un carattere misto, insieme ecclesiastico e civile.

A seguito del riordinamento compiuto da Giuseppe Schirò, l’archivio risulta diviso in quattro fondi distinti caratterizzati da consistenza ed estremi cronologici differenti:

Vai alla Scheda su Guglielmo II

Vai alla sezione Storia e Territorio di Monreale

 

 

1. Registri della Corte
Vai alla Scheda sul Fondo Registri della Corte
2. Carte processuali sciolte
Vai alla Scheda sul Fondo Carte Processuali
3. Fondo Mensa
Vai alla Scheda sul Fondo Mensa
4. Fondo Governo Ordinario
Vai alla Scheda sul Fondo Governo Ordinario

Diverse le vicende e le finalità del tabulario, probabilmente il nucleo originario della documentazione monrealese, dal 1939 conservato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana di Palermo, la cui storia e contenuto sono state ampiamente illustrate da Carlo Alberto Garufi nel suo Catalogo del 1902.

In precedenza il Tabulario era stato custodito presso lo stesso monastero dei Benedettini di Monreale, sebbene – con regio decreto n. 3036 del 7 luglio 1866, relativo alla soppressione delle Corporazioni religiose ed alla confisca dei loro beni, - fosse stato preso in consegna dalla Commissione di Antichità e Belle Arti per conto dello Stato,

cfr. G. Schirò, L’archivio storico comunale di Monreale cit., p. 607.

I documenti che costituiscono il Tabulario del monastero di Santa Maria Nuova conservati presso il Fondo Monreale sono 345:

cfr. Catalogo dei manoscritti del Fondo Monreale della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, già Biblioteca Nazionale, a cura di C. Pastena, Palermo 1998, pp. XL-XLI.

Il Diplomatico di Monreale è oggi collocato, insieme all’intero Fondo di riferimento, presso la  Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, nella sala blindata del settore manoscritti, collegata con quella delle esposizioni, San Luigi,

cfr. A.M. Grasso, Il Tabulario di S. Maria Nuova in Monreale,in BCA. Bollettino di Informazione Trimestrale per la divulgazione degli organi dell’Amministrazione per Beni Culturali e Ambientali della Regione Siciliana, 3 (1982), f. 1-4, pp. 255-261:255.

Sulle vicende che hanno portato il suddetto Fondo presso la biblioteca,

cfr. A.M. Dotto, Gli Incunaboli del ‘Fondo Monreale’ della Biblioteca Nazionale di Palermo, in La Bibliofilia. Rivista di storia del libro e di bibliografia, 71 (1969), III, pp. 205-221.

Secondo Gaetano Millunzi il Tabulario fu, fin dagli inizi, soggetto ad una attenta conservazione:

il Tabulario di S. Maria Nuova fu custodito con religiosa accuratezza sin dal suo principio. I primi prelati della chiesa monrealese forse non furono letterati, ma furono sicuramente uomini di senno pratico (…); non poteva loro sfuggire il concetto tante volte ribadito dai sacri canoni, che la prosperità delle amministrazioni dipende dalla contabilità, ma la proprietà si tutela e si guarentisce negli archivii. E d’altra parte i benedettini di Monreale, così vicini all’arcivescovo abbate, portavano l’educazione tradizionale e gli esempi dei monasteri di S. Trinità di Cava dei Tirreni e di Montecassino, dove gli archivi e la cultura archivistica fiorivano ad esempio delle nazioni civili,

P. Grossi, Le abbazie benedettine nell’alto medioevo italiano. Struttura giuridica, amministrazione e giurisdizione, Firenze, Le Monnier 1957, p. 255.

Tuttavia, sembra che una specifica sensibilità archivistica nei confronti delle scritture più importanti dell’arcidiocesi monrealese si sia manifestata con piena consapevolezza solo nel corso del XVI secolo: a quest’epoca datano, ad esempio, la redazione di numerosi repertori  manoscritti e l’esigenza – più volte espressa – della conservazione dei diplomi all’interno di una cassa custodita da un conservatore.

Un primo minuzioso inventario, datato al 1533, viene notificato da Gaetano Millunzi, dove infatti si legge:

scritto in lingua latina, è il primo che si conosce dei documenti del Tabulario di S. Maria Nuova; il governatore che in nome del card. De’ Medici ne curò l’esecuzione fu messer Bernardo Spina, ed il maestro notaio, che lo redasse, fu Gian Luigi Altavilla,

G. Millunzi, Il Tesoro, la Biblioteca e il Tabulario della Chiesa di Santa Maria Nuova in Monreale, in Archivio Storico Siciliano, 28 (1903), pp. 249-294.

 

Pare che il notaio Gian Luigi Altavilla, nel redigere l’elenco dei diplomi avesse tenuto in considerazione anche il Liber Privilegiorum di Rassach, a cui spesso si riferiva con richiami e confronti, regestando i documenti e raccogliendo anche abbondante materiale per uno studio sigillografico.

Vai a Genesi e retorica del Liber

Vai alla sezione Edizione diplomatica

Millunzi informa inoltre come l’inventario, diviso in 199 capi, recasse anche un’annotazione relativa proprio al cartulario, che veniva descritto come «librum unum in carta pargameni scriptum in bona littera in quo sunt annotata multa privilegia majoris ecclesie civitatis montis regalis cum suis summariis litteris rubreis conservatum in arca privilegiorum intus thesaurum ecclesie».

Di poco posteriore fu la stesura di un sommario ragionato dei diplomi regi, compiuta intorno al 1552 dal regio visitatore Arnedo, che si concludeva con le parole: «item extant quamplurima privilegia summorum Pontificum in quibus conceduntur et confirmantur libertates et immunitates predicte ecclesie et omnia que pertinent ad dignitatem archiepiscopalem».

Intanto, nel sinodo del 1575, il cardinale Ludovico I Torres, confermando una precedente disposizione impartita dal suo predecessore – il cardinale Alessandro Farnese – prescriveva che i privilegi di cui egli aveva curato un riordinamento fossero custoditi all’interno di una cassa di ferro, riposta nella sacrestia e chiusa da tre chiavi, di cui una affidata allo stesso arcivescovo, l’altra al Governatore di Monreale e la terza al Pretore della città.

Si trattava, in pratica, di un piccolo trésor des chartes non dissimile, negli intenti così come nella struttura, alle analoghe disposizioni promosse dalle maggiori universitates dell’epoca3.

La caxa di li privilegi, nel segno della più rigorosa cautela, era separata dall’archivio ordinario, dove erano conservati i registri ecclesiastici e civili e che era collocato in una stanza della cattedrale di Monreale; fu oggetto di frequenti inventariazioni, dalle quali il numero dei documenti in essa contenuti risultava sempre diverso: un primo elenco, intitolato Inventario seu iuliana di tutte le scritture antiche e moderne che sonno ne la cassa di privilegi che sta ne la sacrestia de la maggiore ecclesia di Monreale ne la cappella del thesoro, approntato in tre esemplari su ordine dello stesso cardinale Alessandro Farnese nel 1564 o 1569, fu pubblicato dal monaco benedettino Giovan Battista Tarallo a Palermo nel 1834.

In proposito si segnala la proposta, pensata per la documentazione comunale contenuta nelle casse di privilegi, di Attilio Bartoli Langeli, che vi ha distinto tra atti del comune, atti d’ufficio e registri originali ma prive di forme notarili, cfr.

A. Bartoli Langeli, Codice diplomatico del Comune di Perugia. Periodo consolare e podestarile. 1139-1254, 3 voll., Perugia, Deputazione di storia patria per l’Umbria, I, pp. XVIII-XXIII.

 

Nel 1596 Gian Luigi Lello pubblicava, a nome dell’arcivescovo Ludovico II Torres – di cui era segretario – il Sommario dei privilegi dell’Arcivescovato di Monreale, in appendice alla Historia della Chiesa di Monreale: nel compendio – sebbene nella redazione triennale diocesana redatta dallo stesso per la Sacra Congregazione del Concilio in Roma nel 1591 si legga «Archivum a me constitutum est. Privilegia Ecclesiae, quae plura quam 250 sunt, describenda curavi, eorumque compendium vernacula lingua confeci» – vengono elencati 227 documenti, alcuni non inclusi nella raccolta contenuta nella cassa.

Vai alla Scheda su Ludovico II de Torres

Tra i documenti regestati, l’arcivescovo non inseriva gli atti di concessione enfiteutica e affitto di terre, case, fondaci e mulini, così come gli atti disciplinari riguardanti monaci e monache: secondo Millunzi infatti,«nel compilare il Sommario dei Privilegi dell’arcivescovato di Monreale non intese includere in esso né tutti i documenti esistenti allora dentro il Tabulario, né i soli documenti di esso Tabulario. Egli direttamente non ebbe di mira il Tabulario, ma la Chiesa e i suoi privilegi ed i suoi diritti e la sua giurisdizione»4.

Lo stesso Ludovico II disponeva inoltre che la cassa fosse conservata presso la Biblioteca del Seminario, da lui fondata.

Un copiario di poco posteriore sembra essere stato ordinato, nel 1604, da Monsignor Filippo Giordi5 , forse per ovviare ai frequenti furti cui pare essere stata soggetta – dal XVII secolo in poi – la documentazione monrealese a causa delle contese, spesso molto accese, tra i benedettini, il clero secolare e l’arcivescovo.

Millunzi riporta ad esempio la notizia secondo la quale l’arcivescovo Cosimo Torres aveva recuperato, negli anni del suo governo (1634-1642), una cassa di documenti che il benedettino Tommaso da Monreale teneva nella sua cella del monastero ed un’altra cassa che lo stesso benedettino aveva evidentemente sottratto, e che era custodita presso monastero palermitano di San Giovanni degli Eremiti6.

Nel 1702 Michele Del Giudice, rieditando l’Historia del Lello, ne aggiornava il Sommario con cinquanta nuovi documenti. Pochi anni dopo, nel 1705, il cardinale Francesco del Giudice, sensibile alle sollecitazioni illuministiche di quel tempo, incaricava un dotto alunno del Seminario di Monreale, Giorgio Guzzetta, di studiare, trascrivere e tradurre i documenti del tabulario, che risultavano allora in numero di 237.

Vai alla Scheda su Michele del Giudice

Vai alla Scheda su Gian Luigi Lello

I risultati del lavoro non sono conosciuti, mentre è noto che la cassa dei privilegi continuava ad essere conservata nella sacrestia, in un armadio incavato nel muro, fino al 1811 quando, in seguito all’incendio del tetto del Duomo, fu trasferita temporaneamente nell’abbazia di San Castrenze.

L’ultimo inventario edito e arricchito da preziose annotazioni data al 1834, ad opera del priore benedettino Giambattista Tarallo cui erano stati affidati dall’arcivescovo Benedetto Balsamo, che aveva inteso verificarne consistenza e apposto la propria firma su ciascun diploma del tabulario.

Scarne le notizie successive sul tabulario e l’archivio, nonostante la diocesi di Monreale fosse soggetta a periodiche ispezioni regie: le ultime indicazioni provengono infatti dagli atti della visita compiuta nel 1741 da Gian Angelo De Ciocchis, visitatore regio per conto di Carlo III di Borbone.

Il De Ciocchis, visitando i tre archivi dell’arcivescovato – il tabulario, il piccolo archivio del seminario e l’archivio comunale – informava infatti che il diplomatico monrealese si trovava, a quell’epoca, in una

cassa ferrea in sacrario Ecclesiae posita, ac tribus clavibus munita, quarum Archiepiscops unam, Praetor alteram, prostremam Magister Notarius Mensae habet. In ea conservantur privilegia, diplomata et membranae originale,

G.A. De Ciocchis, Sacrae Regiae Visitationis per Siciliam a Joanne-Ang. De Ciocchis, Caroli III regius iussu. Acta decretaque omnia, 3 voll., I. Vallis Mazariae, Palermo 1836, p. 460.

Il regio visitatore emanò quindi una serie di disposizioni, promuovendo la riformagione degli archivi, che sarebbero dovuti confluire in un unico archivio arcivescovile, sotto la direzione di un archivista ecclesiastico.

Queste sono, in sintesi, le vicende e gli studi sinora condotti sulla vicende della conservazione documentaria a Monreale.

Si tratta – è evidente – di un capitolo della storia culturale dell’arcivescovato ancora tutto da scrivere, e che meriterebbe sicuramente ulteriori approfondimenti per il massiccio sistema di rapporti con l’ambiente istituzionale e sociale esterno che l’archivio e il tabulario hanno inteso riprodurre attraverso le scritture e la loro organizzazione, che vanno quindi considerate come un sistema non meno poroso della stessa istituzione e altrettanto condizionato dalle periferie e dagli attori implicati.

Senza perseguire l’accentramento a tutti i costi, Monreale controllò – attraverso tre canali paralleli di scrittura e conservazione – frazioni rilevanti di sapere e ne organizzò la stesura, tramandandole ai posteri con successo.

Nell’analisi di questi diversi sistemi emerge uno svolgimento di portata generale: il doppio processo che, nel basso medioevo, vide da un lato tutta l’attività dell’arcivescovato più sistematicamente investita dalla scrittura e dall’altro la rottura del monopolio documentario sotto forma di archivio e carte sciolte, che nel Liber Privilegiorum diventa il frutto peculiare della tensione fra le esigenze della conservazione e la pratica e il modello dell’accesso plurale alle scritture dell’istituzione.

Vai alla Bibliografia Scrittura e Potere

 

 

 

Vai a Genesi e retorica del Liber

 

 

 

1  I. Zanni Rosiello, Archivi, archivisti, storici, in Il potere degli archivi. Usi del passato e difesa dei diritti nella società contemporanea, a cura di L. Giuva, S. Vitali, I. Zanni Rosiello, Milano, Bruno Mondadori 2007, pp. 1- 65:4.

2 P. Grossi, Le abbazie benedettine nell’alto medioevo italiano. Struttura giuridica, amministrazione e giurisdizione, Firenze, Le Monnier 1957, p. XXI.

3 Cfr. G.B. Tarallo, Elenco dei diplomi, bolle e pergamene del Duomo di Monreale compilato nel sec. XVI e con annotazioni, Palermo 1834.

4 G. Millunzi, Il Tesoro, la Biblioteca e il Tabulario cit., p. 269.

5 Ivi, dove si legge: «significandum duxit ut pro majori ipsorum originalium privilegiorum conservatione, et ne originalia ipsa unquam a dicto loco extrahantur aut extrahi necesse sit: illa diligenter in libro particulari registrari ac fideliter transcribi faciat in authentica forma ut eorum transuntis fides adhiberi possit».

6 Id., p. 273.