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I sentieri della documentazione.

Fra dimensione europea e radicamento regionale

In un arguto testo, Le regole del gioco nello studio della storia antica, Arnaldo Momigliano scriveva:

una bibliografia può avere gli effetti di una cattiva droga e incoraggiare al vizio: al vizio di leggere studi moderni invece che documenti originali quando si discute del passato, cioè di storia.

L’antidoto proposto era un ritorno alle fonti e l’enunciazione di alcune semplici regole per analizzarle, tra cui la «capacità di interpretare il documento come se non fosse un documento, ma un episodio reale di vita passata». La conclusione dello studioso era infatti:

Lo storico capisce uomini e istituzioni, idee, fedi, emozioni, bisogni di individui che non esistono più. Capisce tutto ciò perché i documenti che ha davanti a sé, debitamente interpretati, si presentano come situazioni reali,

A. Momigliano, Le regole del gioco nello studio della storia antica, in Id., Sui fondamenti della storia antica, Torino, Einaudi 1984 (Einaudi Paperbachs, 157), pp. 477-486:477.

 

In questa prospettiva, le fonti assumono una luce straordinariamente dinamica, che ne fa non tanto – positivisticamente – l’espressione stessa di un tempo oggettivo quanto piuttosto, un momento di modificazione della realtà storica. La brillante osservazione di Momigliano è tanto più vera se si considera il caso rappresentato dalle testimonianze scritte per la storia siciliana di epoca medievale e per il periodo normanno-svevo in particolare, viste le consistenti perdite dei diplomi originali della cancelleria regia1 e il prevalere di fonti narrativo-cronachistiche che, nella loro frammentarietà, non possono soddisfare pienamente chi vi si accosta.

 

 

 

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In questo contesto, si accentua anzi l'importanza del ruolo svolto dalle istituzioni religiose che, a partire dall'epoca normanna, custodiscono nei propri archivi preziose serie documentarie, spesso inesplorate o ineditee ancor di più delle “fonti alternative” ai classici canali informativi.

 

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Si riprende qui un’osservazione di Carlo Alberto Garufi che, nonostante dati a più di un secolo, sembra ancora molto attuale, soprattutto alla luce della recente revisione dei criteri di critica ed esegesi diplomatica rispetto ai quali la massa di materiale pubblicato o reso noto dall’erudizione isolana e straniera fin dal sec. XVI non appare più adeguata a soddisfare le contemporanee esigenze di ricerca storiografica, cfr.

C.A. Garufi, I documenti inediti dell’epoca normanna in Sicilia, in Documenti per servire alla Storia di Sicilia pubblicati a cura della Società Siciliana di Storia Patria, s. Ia, XVIII, Palermo 1899, p. XIII.

Recentemente Hubert Houben ha rimarcato il concetto, estendendolo però all’intero Mezzogiorno, per il quale risultano noti esclusivamente gli archivi di Cava, Montecassino e Montevergine, cfr.

H. Houben, Monachesimo e città nel Mezzogiorno normanno-svevo, in Il Monachesimo italiano nell’età comunale. Atti del IV Convegno di Studi Storici sull’Italia Benedettina (Abbazia di S. Giacomo Maggiore, Pontida, Bergamo 3-6 settembre 1995), Cesena, Badia di Santa Maria del Monte 1998 (Italia Benedettina, 16) 1998, pp. 643-663:645.

Per la Sicilia l’importanza della documentazione di ambito ecclesiastico – soprattutto di epoca normanna e sveva – aumenta in relazione alla perdita dei registri della cancelleria normanna, cfr.

H. Enzensberger, Il documento pubblico nella prassi burocratica nell’età normanno-sveva. Problemi di metodologia ed analisi, in Schede Medievali, 17 (1989), pp. 299-316:310.

 

 

In questo senso, i documenti compresi all’interno del Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova – testo in cui evidenti emergono quei processi di legittimazione incrociata tra detentori del potere e popolazioni soggette spesso lasciati in ombra dalle fonti siciliane coeve – offrono diverse opportunità di riflessione, confronto e verifica di un pensiero complesso e organizzato, ma non mediato da moderne rielaborazioni storiografiche condotte su membra disiecta.

Edizione Diplomatica

Il Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova

 

 

 

Nell’analisi del codice è infatti possibile leggere i nessi tra documentazione scritta e preminenza sociale attraverso molteplici angolazioni: accostandosi alla sfera della produzione, conservazione e trasmissione della memoria documentaria come componente del patrimonio e dell’identità istituzionale come si è tentato di fare nei capitoli precedenti – oppure sperimentando un percorso inverso, che nelle attestazioni scritte rintracci le origini e gli sviluppi di un determinato sistema politico e, attraverso questa trama, ricostruisca un tessuto che sia anche un indicatore significativo della storia locale nei secoli in esame.

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Nel caso di Monreale inoltre, tracciare dei sentieri che si dipanino attraverso la documentazione contenuta nel liber e con essa provino a colmare vuoti e lacune, significa verificare la storia dell’arcivescovato a partire dalla sua fondazione, seguendo nella stratigrafia dei privilegi un cammino temporale dal quale sono emersi, di volta in volta, eventi, ambienti, personaggi, evocativi di una realtà più ampia quella del Regno di Sicilia dove strettissimi appaiono i rapporti tra Chiesa e  Potere e la monarchia, vertice della gerarchia feudale, detiene privilegi in materia ecclesiastica che sembrano essere sconosciuti al resto dell’Europa.

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«Ai diritti di cui godeva il re di Sicilia in materia ecclesiastica, in particolare in materia di elezioni vescovili – diritti che, è bene sottolinearlo, erano sconosciuti all’Europa del tempo – facevano riscontro i privilegi giuridici di cui godevano gli ecclesiastici, privilegi che erano anch’essi sconosciuti al resto d’Europa. I re normanni, e poi quelli svevi, infatti, assicurarono il mantenimento dei vescovi, rendendoli beneficiari di una parte delle entrate dello Stato»,

E. Cuozzo, Chiesa e società feudale nel Regno di Sicilia, in Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII. Atti della XIIa settimana internazionale di studio (Mendola, 24-28 agosto 1992), Milano, Vita e Pensiero 1995 (Miscellanea del Centro di studi medioevali. Scienze storiche), pp. 333-354:340.

 

Ancora una volta, il  carattere compositivo della fonte struttura coesa e frutto di consapevole elaborazione è il primo e più certo punto di partenza, il fondamento valoriale sulla base del quale giudicare i singoli documenti.

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Così, nello scorrere i novanta atti tramandati dal codice e distribuiti su un arco cronologico plurisecolare, nell’alternarsi di istanze universali e coinvolgimento locale, realtà politica ed economia delle campagne, emerge il peso della diocesi monrealese non solo nella sua dimensione inframoenia e nel concreto esercizio del proprio potere, ma anche e soprattutto in relazione al più esteso contesto socio-politico mediterraneo.

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È infatti sullo sfondo della realtà politica siciliana – a partire dall’affermazione normanna – che ha preso le mosse e si è sviluppata la storia di Monreale come spazio fisico e virtuale animato da interessi e prospettive molteplici: una formazione proiettata verso la terra, il suo controllo, la sua gestione, ma in grado di allacciare relazioni di potere verticali; un’istituzione il cui prestigio, l’influenza e gli spazi immunitari riconosciutile sin dalla sua fondazione attraverso un fitto reticolato di formule e consuetudini, consolidano nel tempo una già cospicua base patrimoniale, coinvolgendo inevitabilmente la documentazione, che si trasforma allora in testimonianza probante e funzionale alla stessa fisiologia dell’arcivescovato.

 

«(…) le relazioni di potere erano verticali, ma erano altresì improntate in modo diretto, informale e sostanziate dal bene più diffuso e più importante di questi secoli: la terra, il suo controllo, la sua gestione»,

G. Francesconi, La signoria monastica: ipotesi e modelli di funzionamento. Il monastero di Santa Maria di Rosano (secoli XI-XIII), in “Lontano dalle città”. Il Valdarno di Sopra nei secoli XII e XIII. (Atti del convegno, Montevarchi-Figline Valdarno, 9-11 novembre 2001), a cura di P. Pirillo, Roma, Viella 2005 (Valdarno medievale, 1), pp. 1-18:1.

 

 

 

Nella costruzione di Santa Maria Nuova di Monreale si è concretizzato cioè, un legame tra società politica e istituzione ecclesiastica come aspetti di una comune logica di sviluppo, di un rapporto organico che fa dell’ente ecclesiastico la realizzazione peculiare di una struttura sociale, l’ordito entro cui si tesse la trama dei rapporti pubblici, e che non ha esistenza per sé, né è immobile, ma vive di continue modificazioni.

Su queste considerazioni si innesta poi la convinzione che contributi specialistici di carattere storico-diplomatistico possano rappresentare un apporto significativo nell’ambito di più generali indagini sulle connessioni fra Chiesa e Potere nel “sistema Sicilia” alla luce dei processi di transizione politica in atto durante il Basso Medioevo.

«Se per sistema intendiamo il complesso di istituzioni operanti in un dato contesto storico/cronologico, spazio/temporale, e operanti in potenziale dialettica di posizioni, in una semplice contiguità, che non è connessione, di disegni parziali e particolari – sarà solo nella coscienza di un sistema siffatto, cioè nella testimonianza di una visione larga dei singoli disegni operativi delle istituzioni, che noi coglieremo il carattere divaricato delle singole istituzioni, la non assimilabilità tra di esse, la loro non componibilità, quindi la loro storicità»,

O. Capitani, Le istituzioni ecclesiastiche medievali: tra ideologia e metodologia. Appunti,in Rivista di Storia della Chiesa in Italia,30 (1976), pp. 345-362: 350.

L’indagine si inquadra all’interno di una tradizione di studi relativamente recente che, nel tentativo di comprendere il movimento e la funzionalità delle strutture ecclesiastiche, ritiene indispensabile coglierne i presupposti, l’operatività organizzativa e il programma di azione all’interno del mutevole tessuto sociale medievale, correlandoli alle situazioni di fatto e ad un concreta formazione temporale: settore questo, per il quale in Italia sono stati particolarmente approfonditi i secoli X e XI mentre fuori sono rimasti il XII e XIII che pure sono fondamentali per valutare una fenomenologia complessa e contraddittoria, in un’area di rilevamento che andrebbe comunque allargata ad ambiti diversi da quelli finora esplorati.

«Che alla storia della Chiesa ci si sia volti in Italia con un interesse non subalterno, non di riflesso, ma per quello che essa era ed è  - principalmente, se non esclusivamente, certo – solo a partire dagli anni cinquanta inoltrati, è un dato della storia della storiografia medievistica che oggi sembra difficile poter contestare (…)»,

O. Capitani, Le istituzioni ecclesiastiche medievali cit., p. 346.

Lo stesso Ovidio Capitani, già negli anni Settanta aveva osservato: «Le zone che sono state analizzate di recente o che hanno potuto godere di lavori di scavo precedenti comprendono essenzialmente la Lombardia, la Toscana, l’Emilia, il Veneto: ma sono state lasciate fuori altre zone, in cui la ricerca rischia di modellarsi sui risultati ottenuti in contesti diversi, non esemplari»,

O. Capitani, Storia ecclesiastica come storia della ‘coscienza del sistema’, in Forme di potere e strutture sociali in Italia nel Medioevo, a cura di G. Rossetti, Bologna, Il Mulino 1977, pp. 41-55:51.

Come ha sottolineato Cosimo Damiano Fonseca, ogni tentativo di tracciare le linee di una storia delle istituzioni ecclesiastiche meridionali nel basso medioevo, si è scontrato con un contesto storiografico caratterizzato dalla

carenza di studi preparatori ancorchè misurati entro precisi ambiti microterritoriali siano essi ecclesiastici o politico-amministrativi, insufficienti edizioni di documenti, mancanza di strumenti cartografici adeguati, difficoltà obiettive di ricerca dovuta ai caratteri peculiari della vicenda storica meridionale2.

 

Proprio per la Sicilia poi, pur avendo da tempo superato l’ipoteca giuspubblicistica che aveva indotto a privilegiare – tra gli argomenti di matrice ecclesiastica – l’istituto della Legazia Apostolica e i rapporti tra Santa Sede e Regno meridionale, rifiutando ogni attenzione all’intelaiatura amministrativa e alle strutture organizzative della Chiesa, colpisce comunque la disparità di titoli a favore del monachesimo basiliano, rispetto al quale la letteratura relativa al versante occidentale appare indubbiamente ridotta. Per averne una conferma basterà passare dalla bibliografia strettamente specialistica a quella più generale sulla storia monastica italiana, sfogliando due recenti lavori di sintesi: la nuova edizione della Storia del monachesimo del Penco e il pregevole volume miscellaneo Dall’eremo al cenobio, affidato a specialisti di chiara fama. Nella prima i monasteri latini della Sicilia normanna entrano assai indirettamente: o inquadrati, come Monreale, nella congregazione cavense, o citati in appendice ai monasteri basiliani, cioè fuori dal loro logico contesto; nel secondo troviamo una sintesi, firmata da Raoul Manselli e da Edith Pasztor, che comprende anche un paragrafo sulle Nuove fondazioni monastiche nel Regno di Sicilia, dove però ci si limita a parlare di Montevergine e di Pulsano3.

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Anche il lavoro di Lynn T. White, punto di riferimento essenziale per chi si accinga ad uno studio siffatto, non ha avuto seguito, salvo qualche sporadica edizione di documenti e rare puntualizzazioni su singoli monasteri: nelle parole dello stesso White,

il campo è rimasto curiosamente incolto. […] Molti studi hanno gettato una luce abbastanza irregolare su singole istituzioni, ma nessuno ha raccolto tutto il materiale a disposizione anche per un solo genere di monastero4.

Ritornando infine a quella pratica di scrittura attraverso la quale la comunità religiosa ha giustificato e difeso una posizione giuridica consolidatasi nel tempo – sintetizzata nel codice oggetto di questo studio – che costituisce il supporto su cui basare l’analisi della struttura istituzionale e del processo di sviluppo monrealese, parallelo a quello che interessò i maggiori centri di potere isolani, è possibile rintracciarvi le evoluzioni di un dominio che, a fronte di un vastissimo patrimonio fondiario, giocò un importante ruolo di presidio territoriale nella Sicilia Occidentale, in un’epoca caratterizzata da forti contrasti e mutevoli rapporti di forza.

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I dati contenuti nel cartulario monrealese offrono informazioni preziose non solo sui possessi dell’ente, ma anche sulla società e l’economia ecclesiastica, che in questo caso coincide con quella rurale all’interno di un sistema in cui i rapporti tra proprietà e territorio vanno intesi anche nell’ottica della giurisdizione, della riconfigurazione dell’habitat, delle strategie adottate per la gestione e lo sfruttamento delle risorse.

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In Sicilia «l’economia ecclesiastica e l’economia rurale quasi coincidono e si sovrappongono, lo studio della seconda essendo permesso solo dalla documentazione prodotta dalla prima»: per cui la storia delle campagne siciliane che le fonti consentono è fondamentalmente – almeno per i secoli centrali del Medioevo – storia della proprietà ecclesiastica anzi, della grande proprietà ecclesiastica, cfr.

L. Chiappa Mauri, Monasteri ed economia rurale in Lombardia nei secoli XII e XIII, in Il Monachesimo italiano nell’età comunale cit., pp. 199-218:199.

L’opportunità, anche per la storia delle istituzioni ecclesiastiche, di individuare approcci e filoni di studio in parte inediti, o perlomeno non esplorati a fondo, e di intravedere, al di là dell’aspetto puramente religioso o giurisdizionale, un panorama diversificato, collegato ai risvolti di un’entità peculiare e relativamente autonoma, rendono i sentieri della documentazione il percorso ideale per superare il mito di una storia siciliana concepita in termini di unità e segnalare invece, una realtà caratterizzata da varietà di strutture e forme5: solo osservando questa varietà, studiandone le peculiarità, è possibile accostarsi alla concretezza di una ricerca che tenti di valutare a pieno il significato storico della costruzione politica, economica e territoriale di Santa Maria Nuova di Monreale.

Lo spunto per questo taglio analitico è venuto da Pietro Corrao, il quale ha giustamente evidenziato come negli ultimi anni «l’indirizzo della storiografia a cavallo fra prospettiva sociale, istituzionale e giuridica, è stato l’orientamento del dibattito sul presunto carattere antifeudale della monarchia normanna»: un problema «che ha condizionato la ricerca fino a farle quasi ignorare in molti casi le concrete strutturazioni dei poteri sul territorio e sugli uomini»,

P. Corrao, Gerarchie sociali e di potere nella Sicilia normanna (XI-XII secolo). Questioni storiografiche e interpretative, in Señores, siervos y vasallos en la Alta Edad Media (XXVIII Semana de Estudios Medievales, Estella, 16-20 julio 2001), Pamplona, Gobierno de Navarra, Departamento de educacion y cultura 2003, pp. 459-481.

Per un approccio attento alla varietà di strutture e istituzioni presenti in Sicilia nel pieno Medioevo, si vedano gli studi di Giuseppe Petralia, ed in particolare:

  • Mercanti e famiglie pisane in Sicilia nel XV secolo, estr. dall’Annuario dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 33-34 (1981-1982), Roma 1983.
  • Sui Toscani in Sicilia tra Due e Trecento. La penetrazione sociale e il radicamento nei ceti urbani, Pisa, Tip. editrice pisana 1988.
  • Banchieri e famiglie mercantili nel Mediterraneo aragonese. L’emigrazione dei pisani in Sicilia nel Quattrocento, Pisa, Pacini 1989 (Biblioteca del Bollettino storico pisano. Collana storica).

Si ribadisce inoltre in questa sede anche la necessità, presente nella letteratura più recente, di superare una visione eccessivamente uniforme Nord comunale contrapposto ad un Sud feudale, che non può più essere considerato un blocco uniforme ma, piuttosto, come un arcipelago composito, risultante dalla compresenza di aree diversissime con precisi e individualizzati processi locali, cfr.

H. Houben, Monachesimo e città nel Mezzogiorno normanno-svevo cit., p. 645. 

 

 

 

 

1  Soprattutto a seguito dell’avvento di Enrico VI e del trasporto del tesoro normanno in Germania, cfr. T. Toeche, Kaiser Heinrich VI, Leipzig, Duncker und Humblot 1867 (Jahrbucher der deutschen Geschichte); nuova ed. Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgessellschaft 1965, p. 349.

2  Cfr. C.D. Fonseca, Le istituzioni ecclesiastiche del Basso Medioevo nell’Italia Meridionale, in Id., Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno Medievale, Galatina, Congedo 1987 (Saggi e ricerche, 25), pp. 147-170:147.

3  Cfr. G. Spinelli, Il monachesimo benedettino della Sicilia orientale nella prima età normanna, in Chiesa e società in Sicilia. I secoli XII-XVI. Atti del II Convegno Internazionale organizzato dall’arcidiocesi di Catania (25-27 novembre 1993), a cura di G. Zito, Torino, SEI 1995, pp. 155-173: 157-158.

4  L.T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna cit., p. 16.

5  Cfr. M. Del Treppo, Medioevo e Mezzogiorno: appunti per un bilancio storiografico, proposte per una interpretazione, in Forme di potere e strutture sociali in Italia nel Medioevo cit., pp. 249-283:250.