Muhammad ibn Abbad La fine del regno normanno di Sicilia aveva significato il riaccendersi dei conflitti tra le diverse etnie e religioni presenti sull'isola: poco dopo con la morte di Guglielmo II, avvenuta nel 1189, minacciata dalla maggioranza cristiana e non più protetta dalla monarchia, la superstite popolazione islamica aveva infatti reagito all'aggressività latina arroccandosi sui monti della Sicilia occidentale e rompendo progressivamente i legami di sottomissione. La situazione si era ulteriormente aggravata in epoca federiciana, sfociando in una vera e propria rivolta, tra i capi della quale, appunto, Muhammad ibn Abbad. Probabilmente immigrato dall'Africa e proclamatosi amir al-muslimin (principe dei credenti) è nominato nelle cronache latine Mirabettus (dall'arabo Amir ibn Abbad o, come ritenne Amari, da murabit, monaco guerriero). La sua autorità sembra essersi estesa a tutto l'interno della Sicilia occidentale, costruita attorno alle rocche difese di Jato, Entella, qal'at galsu, Monte Guastanella e Pizzo Gallo, fino ad Agrigento, per qualche tempo occupata dai saraceni: un territorio esteso, e posto sotto la diretta giurisdizione dell'arcivescovato di Monreale.
Ma nel 1221 Federico II tornava in Sicilia, intenzionato a ristabilire l'ordine e a ricondurre i saraceni allo status loro assegnato dalla conquista normanna: quello di villani abitanti dei casali, ereditariamente legati alla terra, sottoposti a captazione personale e a tassazione sulle terre coltivate.
Le fonti latine ed arabe riportano versioni diverse della fine di Muhammad ibn Abbad. Secondo la cronaca araba del Tariq al-Mansuri, una parte dei ribelli musulmani avrebbe ad un certo punto tradito l'emiro, venendo a patti con Federico II: Muhammad Ibn Abbad avrebbe quindi deciso di consegnarsi all'imperatore e chiedere la grazia, che però Federico non gli avrebbe concesso, facendolo impiccare con i due figli. Un manoscritto della Spagna di parte musulmana, compilato nel XIV secolo da Al Himyari, sostiene invece che Muhammad sarebbe stato annegato a tradimento in mare, mentre veniva trasportato in Africa dopo la resa a condizioni. La cronaca narra infatti come Muhammad Ibn Abbad, dirigendo la resistenza musulmana in Sicilia dalla Rocca d'Entella, abbia accettato - tra il 1219 e il 1220 - di lasciare la Sicilia per l'Africa del Nord, lasciando la figlia come garante. Ma Ibn Abbad viene annegato a tradimento poco lontano dal mare di Sicilia: avvertita della sorte del padre la figlia riprende la resistenza con il concorso dei musulmani dell'Isola. Più tardi, nel 1222-23 ella indirizza un messaggio a Federico in cui chiede trecento guerrieri che durante la notte farà penetrare nella Rocca. Federico indirizza gli uomini verso il castello. La figlia di Ibn Abbad apre loro le porte e attraverso diversi stratagemmi li fa massacrare tutti quanti. Il mattino successivo anziché gli stendardi sui bastioni dominano le teste degli uccisi sospesi ai merli. L'Imperatore stringe ancora più strettamente il suo assedio finché ridotta agli estremi la figlia di Ibn Abbad si avvelena.
Se la prima versione è probabilmente più attendibile, nonostante le perplessità suscitate dall'ipotesi di una resa senza condizioni da parte dei musulmani, certo è che la grande rivolta venne soffocata intorno al 1225 e che molti saraceni vennero allora deportati in massa a Lucera di Puglia.
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