Il progetto di ricerca

 

A distanza di vent’anni, il fatidico interrogativo posto da Manfred Thaller: “Possiamo permetterci di usare il computer? Possiamo permetterci di non usarlo?1 appare irrimediabilmente retorico e obsoleto. A partire dagli anni ’80 l’informatica è divenuta una disciplina in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze della storiografia e - nonostante il dibattito sia ancora aperto e segnato da una netta divisione tra i fautori dell’innovazione e i tecnoscettici2 - tuttavia sembra ormai un dato di fatto che l’innovazione digitale abbia modificato profondamente il modo di fare e di concepire la storia3 , ridisegnandone gli statuti, spingendo a riflessioni epistemologiche sui prodotti della conoscenza specialistica e potenziando pratiche e possibilità già presenti nella forma classica dei testi scientifici4.

 

Per quanto le pagine Web legate ai temi della storia e nella fattispecie della produzione libraria medievale siano numerose, le risorse che a buon diritto possono essere considerate autentici strumenti d’ausilio alla ricerca e allo studio sono veramente - se non irrisorie - senz’altro esigue5. Mancano ancora, soprattutto, una riflessione critica e una consapevolezza metodologica relative alle possibilità dei nuovi oggetti editoriali applicati alle questioni storiografiche.

In un momento storico contrassegnato dalla difficile convivenza tra cartaceo ed elettronico, lineare e multisequenziale, l’atteggiamento più proficuo appare dunque la sperimentazione, che non è “il rovesciamento e la riscrittura di un canone disciplinare” né “una questione di metodo”, ma va semmai “inquadrata in una prospettiva di arricchimento di quella medesima tradizione6.  Ha giustamente sottolineato Michele Ansani come “chi per mestiere si occupa di analisi ed edizione di fonti documentarie medievali può verosimilmente trovarsi meno a disagio di altri specialisti di critica del testo; esercitandosi su scritture ad alto grado di formalizzazione, e vantando antiche vocazioni definitorie e classificatorie, l’editore di fonti dispone di un controllo astratto del proprio materiale di lavoro che ben si concilia con le astrazioni della computer science7.

Le fonti diplomatiche appaiono, proprio in virtù dell’alto grado di formalizzazione, i testi ideali per la sperimentazione di modelli di codifica e strutture ipertestuali. La possibilità di rappresentazione non lineare determina infatti il riposizionamento virtuale e l’immediata consultabilità dei singoli documenti all’interno di tutte le sequenze potenzialmente configurabili da uno storico, consentendo di intraprendere progetti vietati alla tecnologia della stampa e aggirando l’ostacolo della stabilità e dell’immodificabilità: l’annullamento, proprio dell’ipertesto, delle distinzioni tra inizio e fine, tra dentro e fuori, consentirebbe infatti “di scrivere in modi che permettano di trattare sequenze multiple, voci plurali, diverse esperienze del tempo8 , ovvero di combinare strutture e processi, spazio e tempo, collocando i documenti in ampi sistemi dinamici e superando le aporie derivanti dalla difficoltà di far convivere all’interno dello stesso testo lineare-sequenziale livelli diversi di profondità, analisi, rapporto con le fonti9.

E dal momento che i processi del pensiero sono associativi, e non lineari, e che lo stesso sapere è costituito da intrecci e connessioni che costituiscono una complessa rete, “quella di spezzare la linearità delle forme tradizionali di organizzazione della conoscenza è un’esigenza molto sentita10. L’innovazione di maggiore portata appare dunque la struttura aperta, mutevole, del testo elettronico, continuamente aggiornabile e – in quanto tale – capace di ridefinire il concetto stesso di fonte e di edizione: crollato il pilastro della stabilità, su cui poggiava l’edificio testual-culturale moderno, garantito dalla materialità della fonte, assistiamo ad un “passaggio dal materiale all’immateriale” noto come “codifica11.

In virtù di tali caratteristiche, la tecnologia elettronica conferisce ai testi un valore aggiunto, assente nella tradizionale forma cartacea […]; i links ipertestuali permettono di evidenziare le relazioni concettuali tra i documenti e, più in generale, tra concetti, materializzandole e rendendole visibili e tangibili. Pertanto gli ipertesti costituiscono un notevole contributo a una maggiore chiarezza e trasparenza dei documenti12 e quindi ad una più facile comprensione della storia. Un ipertesto ha infatti una struttura a grafo che permette di navigare al suo interno: essendo costituito da un insieme di blocchi testuali collegati tra loro da link ma indipendenti, esso è caratterizzato dall’assenza di un percorso privilegiato13 che ben si addice alla ricerca storica, nella quale la lettura di un documento non è mai sequenziale, ma “guidata dall’interesse di ritrovare un particolare punto14.

Non esiste ancora una tradizione, ovvero una prassi consolidata di edizioni critico-elettroniche “e la costante evoluzione di tecnologie e linguaggi sembra necessariamente collocare nel limbo della provvisorietà ogni soluzione individuata e proposta15. Tuttavia, “basterà tenere sempre presente che l’obiettivo principale di un diplomatista alle prese con le carte, il computer e il web non è di mettere a punto sofisticate ingegnerie esito di procedimenti concettualizzanti, ma di rendere conto della propria capacità di ricodificare quelle testimonianze scritte mediante scelte funzionali alla loro leggibilità16.

Si tratta dunque di un progetto in costante divenire, di un cantiere aperto, in quanto la trascrizione in digitale può essere modificata alla luce di ogni elemento nuovo: fattore questo che, unito alla rapidità della consultazione, alla trasparenza delle procedure e alla possibilità di contemperare molteplici livelli di accesso alla documentazione, costituisce un indubbio plusvalore rispetto un’edizione a stampa. La codifica digitale infatti, costringe ad operare scelte talvolta omesse in applicazioni routinarie, producendo ritorni significativi in sede di information retrieval (ad esempio, la ricerca di un lemma potrà essere ristretta ad un arco temporale o ad un’area territoriale predeterminati).

In seguito a queste considerazioni, si è scelto di realizzare l’edizione digitale del codice Vat.Lat.3880, testimone inedito del Liber Privilegiorum Sanctae Montis Regalis Ecclesiae, attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e contenente documenti relativi la rete di rapporti costruitasi tra una delle più importanti arcidiocesi del Mediterraneo e l’impero, il papato, altri enti ecclesiastici, nell’arco di cinque secoli. Si tratta di un cartulario dalla storia complessa e ancora – per molti aspetti – sconosciuta, strettamente legato al Fondo Monreale e al famoso Tabulario di S. Maria Nuova, contenente 90 documenti, alcuni dei quali non più esistenti in copia originale.

Nella progettazione dell’edizione si è cercato di tenere conto dei seguenti parametri:

  1. sinteticità visiva dell’informazione e immediata comprensibilità dei percorsi per raggiungerla

  2. facilità e rapidità di accesso alle singole parti della struttura ipertestuale, da cui la semplicità e la sobrietà grafica

  3. omogeneità delle parti

  4. attendibilità

  5. ipertestualità (connettività interna ed esterna)

  6. interattività (disponibilità al feedback da parte dell’utente).

Un’edizione condotta secondo questi criteri contiene in sé e unifica concetti diversi: editare per conservare, editare per far ricordare, editare per ricostruire e correggere, editare per moltiplicare e diffondere un testo. E’ inevitabile che la ricerca in questo settore non possa prescindere dal diretto contatto con l’oggetto, unico e insostituibile testimone di un processo di costruzione, sviluppo e conservazione più eloquente di un database e di modelli di codifica: tuttavia non si può ignorare l’utilità della formalizzazione digitale nell’ampliamento delle possibilità di information retrieval interne ed esterne, che forniscono proposte di lettura multilivello.

Fondamento del progetto è stato quindi la tecnologia ipertestuale, che presentando modularmente i documenti, ne ha permesso l’integrazione nel contesto. Il piano operativo ha previsto:

  1. la definizione di un modello di codifica testuale basato su XML e la formalizzazione di una DTD (Document Type Definition) - ovvero di uno schema di marcatura con la dichiarazione degli elementi e dei sottoelementi, le relazioni e gli attributi – che garantisca uniformità all’elaborazione digitale dei testi documentari17 , nella consapevolezza che ogni operazione di codifica presuppone che siano precedentemente stabilite le strutture e gli elementi codificabili; la descrizione della DTD e delle sue funzionalità è consultabile alla pagina della documentazione tecnica.

  2. la pubblicazione, in forma digitale, dell’edizione, attraverso la codifica XML 1.0 (eXtensible Markup Language). La scelta di questo standard internazionale in sostituzione del più diffuso e adoperato HTML, è dovuta a considerazioni relative a durata e conservazione: HTML – linguaggio di codifica procedurale e non dichiarativa/descrittiva - appare infatti incapace di soddisfare le suddette esigenze. La sintassi dichiarativa di XML invece, riesce ad esplicitare meta-informazioni sulla struttura del testo, le partizioni, le funzioni giuridiche e a regolarizzare nomi di persona e luogo, utilizzando tag semplici e leggibili: si tratta infatti di un metalinguaggio flessibile, semantico e strutturato, che permette di creare formati di dati indipendenti dalla piattaforma e dunque, durevoli nel tempo18.

I documenti pubblicati vengono presentati in forma di file HTML, grazie ad un foglio di stile modificabile in qualsiasi momento; tuttavia di fatto sono documenti di solo testo, portabili da ogni sistema e dunque a lunga conservazione. Ai documenti editi si può accedere direttamente:

  • tramite la consultazione delle singole partizioni, raggruppate – come nel cartulario – per tipologia;

  • da una mappa generale che rappresenta la geografia del territorio appartenuto all’arcidiocesi;

  • dall’indice cronologico delle scritture.

  L’edizione è inoltre correlata da numerosi materiali di supporto:

  • Criteri di edizione

  • Indici di nomi e cose notevoli

  • Regesti

  • Bibliografie

  • Atlante geografico

  • Elenchi dei documenti

  • Atlante paleografico (Tavole, Signa Speciali, Sottoscrizioni)

 La finalità di questo lavoro è fare un ulteriore passo “verso ambienti di elaborazione integrati che possano essere utilizzati come strumenti automatici di supporto del pensiero e della creatività umana, e verso la capacità di trattare conoscenza (e forse metaconoscenza o saggezza) anziché dati e informazioni19. Resta per inteso che il momento della pubblicazione non è un approdo definitivo, ma la fissazione temporanea di un risultato destinato comunque a essere non solo migliorato ulteriormente, ma rimesso in circolo, in qualche misura riscritto, anche da altri.

 

 

1 M. Thaller, Possiamo permetterci di usare il computer? Possiamo permetterci di non usarlo?, in Quaderni Storici, 60 (1985), pp. 871-889.

2 Tra i quali è radicato il dubbio che lo strumento informatico sia incongruo in ambito storico, “cioè non sia possibile coniugare la formalizzazione matematica richiesta dal computer con le inevitabili gradazioni di indeterminatezza connaturate al campo delle scienze umane”, O. Itzcovich, Lo storico e il database, in Quaderni Storici, ns. 70 (1989), pp. 321-325:321-322. In realtà “la fluidità del testo elettronico - la sua natura aperta, instabile, interpolabile – è avvertita come un elemento estraneo alla tradizione filologica e interpretativa del testo chiuso, compiuto, intangibile”, A. Zorzi, Millennio digitale. I medievisti e l’internet alle soglie del 2000, in Memoria e ricerca,  5 (2000), pp. 199-211

3 “E’ ormai evidente che i cambiamenti in corso oggi, in connessione con lo sviluppo delle tecnologie telematiche, riguardano non solo e non tanto le singole professioni culturali, ma l’organizzazione stessa della produzione intellettuale”, P. Ortoleva, La rete e la catena. Mestiere di storico al tempo di internet, in Memoria e Ricerca, 3 (1999).

4 Si pensi ad esempio come il semplice impiego di tecniche ipertestuali riesca a conferire ad uno scritto una “percorribilità e usabilità” decisamente maggiori dei tradizionali strumenti di indicizzazione, rimando, integrazione tra testo e apparato critico. Cfr. P. Corrao, Saggio storico, forma digitale: trasformazione o integrazione?, Abstract della relazione presentata a Medium-Evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale, I Workshop Internazionale di studi medievali e cultura digitale, Firenze, 21-22 giugno 2001.

5 “L’offerta di strumenti di ricerca e di fonti digitali è crescente e, al contempo, assai disomogenea per caratteri e qualità […]. Più che mettere a disposizione fonti, si tende a presentare immagini, in uno sforzo di adeguamento alle logiche del mezzo, alla multimedialità che lo caratterizza, al maggiore appeal delle immagini rispetto al testo. Non è un caso quindi che, spesso, il materiale sia presentato astratto dal contesto di appartenenza e privo, o con scarsi riferimenti, ad esso”, S. Vitali, “Archivi on line”: qualche riflessione metodologica, in Workshop su Archivi storici e archivi digitali tra ricerca e comunicazione, Firenze, Dipartimento di Studi Storici e Geografici dell'Università di Firenze, 2000.

6 M. Ansani, La tradizione disciplinare fra innovazione e nemesi digitale, in Medium-Evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale, I Workshop Internazionale di studi medievali e cultura digitale, Firenze, 21-22 giugno 2001.

7 Ibidem.

8 E.L.Ayers, History in hypertext, Charlottesville, VA, University of Virginia, 1999.

9 In questo modo si prospetta anche il collegamento ad alcune ambizioni della storiografia “sapere onnivoro”, secondo la definizione di Braudel, coltivate a partire dalla rivoluzione delle Annales: l’idea cioè di una “storia totale”, attenta ad indagare e restituire la complessità delle vicende e dei processi storici.

10 G. Mauri, La struttura degli ipertesti, in Oltre il testo: gli ipertesti, Milano 1994, pp. 189-217:190.

11 Cfr. D. Fiormonte, Il documento immateriale, in Il documento immateriale. Ricerca storica e nuovi linguaggi, a cura di G. Abbattista e A. Zorzi, in L'Indice dei libri del mese, 16 (2000), 5 - Dossier n. 4.

12 P. Fezzi, Gli ipertesti: un nuovo media?, in Oltre il testo: gli ipertesti, a cura di M. Ricciardi, Milano, 1994, pp. 175-205:180.  

13 Cfr. G. Roncaglia, Ipertesti e argomentazione, in Le comunità vituali e i saperi umanistici, a cura di P. Carbone e P. Ferri, Milano, 1999, pp. 219-242.

14 G. Sommi, Macchine per leggere e per comprendere, in Macchine per leggere. Tradizioni e nuove tecnologie per comprendere i testi. Atti del Convegno di studio della fondazione Ezio Franceschini e della fondazione IBM Italia, Certosa del Galluzzo, 19 novembre 1993, a cura di C. Leonardi, M. Morelli e F. Santi, Spoleto 1993, pp. 171-187:180.

15 M. Ansani, Diplomatica (e diplomatisti) nell’arena digitale, in Archivio Storico Italiano, 158 (2000), pp. 349-398; e in Scrineum 1 (1999), pp. 1-11.

16 Ibidem.

17 A tal proposito si progetta di non utilizzare un modello esistente, ma di realizzare autonomamente un set di elementi e attributi calibrato sulle caratteristiche specifiche della documentazione, tenendo a mente, nel configurare i requisiti della DTD, il Vocabulaire International de la Diplomatiques, come suggerito da M. Ansani, in M. Ansani, Diplomatica (e diplomatisti), cit.  

18 “Il markup, ossia l’inserimento di marcatori (tags), permette di assegnare una struttura alla rappresentazione del testo, distinguendo…parti diverse con funzioni diverse”, D. Buzzetti, Ambiguità diacritica e markup. Note sull’edizione critica digitale, in Soluzioni informatiche e telematiche per la filologia, Pavia, 30-31 marzo 2000. Essendo essenzialmente notazionale, il markup diventa parte stessa del testo, rispetto al quale svolge una funzione propriamente diacritica: esso è, contemporaneamente, inserito e separabile dal testo, configurandosi come descrizione metalinguistica della sua struttura, o come estensione del sistema stesso di scrittura, che permette di esplicitare caratteristiche altrimenti implicite del testo.

19 G. Mauri, La struttura cit., p. 189.