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Un gioco di scambi:

le decime e le relazioni con i vescovati meridionali

 

 

L’elevazione dell’abbazia di Santa Maria Nuova a sede metropolitica, avvenuta il 5 febbraio del 1182 col consenso di Lucio III, rimodellava l’assetto diocesano della Sicilia e concludeva – almeno per l’epoca medievale – lo sviluppo organizzativo e istituzionale della Chiesa sul territorio.

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Da quel momento l’isola contava infatti nove vescovati alle dipendenze della Sede apostolica, di cui quattro erano grandi abbazie affidate al clero regolare dei Benedettini (Catania, Lipari-Patti, Monreale) e degli Agostiniani (Cefalù), da cui dipendeva la maggior parte dei monasteri latini che gli Altavilla avevano fondato, rifondato e riccamente dotato.

I nove distretti ecclesiastici della Sicilia normanna erano:

  • l’arcivescovato di Palermo;

  • l’arcivescovato di Messina-Troina, risultante dall’unione dei due territori compiuta nel 1096 da Ruggero I;

  • il vescovato di Siracusa, riconosciuto da Urbano II nel 1093;

  • il vescovato di Catania e quelli di Agrigento e Mazara che, dal 1156, erano suffraganei della Chiesa di Palermo;

  • il vescovato di Cefalù, creato nel 1131 da Ruggero II  suffraganeo dell’arcidiocesi di Messina insieme al vescovato di Lipari-Patti, che era nato dall'unione delle abbazie benedettine di San Bartolomeo di Lipari e del San Salvatore di Patti;

  • in ultimo, l’arcivescovato di Monreale. 

Anche in ragione di circoscrizioni diocesane più ampie, e superiori per dotazione patrimoniale a quella delle altre province del Regno, i vescovi siciliani del periodo normanno costituivano un gruppo sociale limitato ma notevolmente politicizzato, vantando una partecipazione attiva nell’esercizio del potere.

Non sorprende dunque, che un’intera sezione del codice rassachiano – la Pars III – sia dedicata ad illustrare le relazioni intercorrenti tra l’arcivescovato di Monreale e le sedi vescovili più influenti dell’Italia meridionale.

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Si tratta delle copie di quattordici documenti, redatti tra il 1170 e il 1185, di cui il copista mantenne gli aspetti formali ricopiando le sottoscrizioni con i signa crucis, le formule composte dal nome dello scrivente precedute dal pronome personale Ego o Nos e dalla qualifica di testimonianza, ma spesso anche di identificabilità.

 

 

Nella qualifica di identificabilità è possibile rintracciare informazioni sulla famiglia di appartenenza, il luogo d’origine o l’attività professionale del sottoscrittore; la qualifica di testimonianza è invece caratterizzata dall’utilizzo della formula “me subscripsi” oppure “testis sum”.

 

Elenco dei documenti vescovili

Bibliografia sulla diplomatica vescovile

 

 

 

Sebbene non si possa ancora contare su una ricostruzione sistematica del sistema organizzativo delle cancellerie vescovili dell’Italia meridionale nel secolo XII, il dato che emerge dalle carte analizzate in relazione ai rogatari è che i vescovi tendenzialmente si fossero serviti dei propri chierici come scriptores.

E' il caso dei documenti redatti per conto dell’arcivescovo di Messina dal canonico Achille di Petralia:

Ma anche del diploma di Tustan, vescovo di Mazara, scritto dal cappellano Leonardo:

e di quelli dell’arcivescovo panormita Gualtiero, vergati  rispettivamente dal chierico Giovanni di Gulisano e dal presbitero Domenico

Il che non esclude però, anche il frequente utilizzo di laici: ad Agrigento era attivo per conto del vescovo Bartolomeo il notaio Grammatico

a Monreale nel 1177 rogava il notaio Simone di Macera per l’abate Teobaldo

a Mazara il notaio Roberto

 

Ma l’interesse della documentazione vescovile contenuta nel codice monrealese sta piuttosto nella configurazione, rintracciabile nell’analisi delle attestazioni trascritte, che la diocesi di Santa Maria Nuova andava assumendo nel panorama ecclesiastico meridionale.

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La giurisdizione spirituale di Monreale risultava infatti da una redistribuzione delle dipendenze e dei diritti delle maggiori diocesi siciliane: all’arcivescovato erano infatti sottoposte come suffraganee le provincie di Catania e Siracusa, su cui il metropolita esercitava prerogative quali la consacrazione dei vescovi, che dovevano prestargli giuramento di soggezione e obbedienza.

«Il numero delle diocesi suffraganee era considerato un elemento di vitale importanza per la coscienza ecclesiastica del titolare di una sede metropolitica»,

C.D. Fonseca, Le istituzioni ecclesiastiche del Basso Medioevo nell’Italia Meridionale cit., pp. 155-156.

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La sottomissione di Siracusa all’arcidiocesi di Monreale fu ratificata nel 1188 da Clemente III,

il documento II.9 (Laterano 1188, 19 ottobre, VII indizione)

e le conferme successive

 

In più di un caso inoltre, Guglielmo il Buono –  intervenendo in questo settore con autorità anche maggiore dei suoi predecessori – aveva imposto ai suoi vassalli la rinunzia a diritti, beni e terre in favore della chiesa di Monreale, pur evitando, attraverso l’assegnazione in permuta di entrate del demanio limitrofo, «che nelle cessioni da lui stesso disposte, il feudo cedente restasse troppo debole»1.

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Così ad esempio nel 1176 il vescovo di Mazara, la cui diocesi si estendeva dalla foce del Belice «ad cavam desuptus Corleonem» e da qui fino a Carini e alla costa occidentale di Palermo, includendo da una parte Marsala e dall’altra Partinico e Carini, riceveva dal re l’ordine di rinunciare ai diritti episcopali sulle terre di Iato e Calatrasi che Guglielmo aveva già disposto dovessero passare alla chiesa di Monreale e non potè fare altro che accettare l’ordine.

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Sul territorio sottoposto alla giurisdizione di Mazara cfr.

R. Pirri, Sicilia Sacra cit., II, pp. 842s.;

R. Starabba, Diplomi di fondazione delle chiese episcopali di Sicilia (1082-1093), in Archivio storico siciliano, 18 (1893), pp. 13-50:44;

E. Caspar, Roger II (1101 - 1154) und die Gründung der normannisch-sicilischen Monarchie cit., pp. 627 ss.

 

 

 

Stessa sorte era toccata al potente arcivescovo Gualtiero: nel marzo del 1177 il prelato palermitano rilasciava a Teobaldo, vescovo e abate di Monreale, un documento in cui confermava l’esenzione della chiesa di Santa Maria Nuova dalla sua giurisdizione, devolvendole i diritti relativi alla parrocchia e al monastero di Santa Maria Maddalena e alla chiesa di San Silvestro di Corleone, in cambio dei quali però riceveva dal re i castelli di Karkes e Brucato, appartenenti alla diocesi di Agrigento; analogamente, in cambio delle decime della parrocchia di Corleone cedute a Santa Maria Nuova, riceveva il casale di Badia nel territorio di Palermo.

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Dal 1093 la diocesi di Agrigento comprendeva il territorio delimitato a sud dal corso del Belice, a ovest, fino al corso del Salso oltre Licata e a nord, da Corleone fino alla sorgente del Salso, cfr.

P. Collura, Le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento (1092-1282), Palermo, U. Manfredi 1961, pp. 7 ss.

Nel 1122, data di conferma da parte di Callisto II e della prima attestazione della diocesi, il territorio della Chiesa palermitana risultava esteso a occidente da Misilmeri a Corleone, da Termini a Vicari a oriente; dal 1215 il vescovo di Palermo teneva anche Caccamo, cfr.

R. Pirri, Sicilia Sacra cit., Palermo 1733, I, pp. 82 s.; anche M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, 3 voll. a cura di C.A. Nallino, Catania, Prampolini 1937, I, pp. 316 s.; E. Mazzarese Fardella, I feudi comitali di Sicilia dai Normanni agli aragonesi, Milano, Giuffrè 1974 (Pubblicazioni a cura della Facoltà di Giurisprudenza, 36), p. 28.

 

documento III. 11 (Palermo, marzo 1177)

documento III.7 (Palermo, gennaio 1180)

 

 

 

Nel marzo del 1182 ancheMatteo, vescovo di Mazara, rinunziava in favore di Guglielmo, abate di Monreale, ai diritti vescovili che la sua chiesa possedeva sui territori di Iato e Calatrasi.

documento III.8

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Nell’ottobre dello stesso anno Bartolomeo, vescovo di Agrigento, concedeva al monastero di Monreale le decime che la sua chiesa riscuoteva sul territorio di Corleone, il castello di Battallario e il casale di Bisaquino.

documento III.13

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E poiché il sovrano normanno aveva assegnato alla chiesa di Santa Maria Nuova dei possedimenti al di là dello Stretto, anche i vescovi di Anglona, Bisignano, Reggio e Brindisi  furono costretti – nello stesso periodo – a cedere all’arcidiocesi siciliana numerosi diritti su monasteri e chiese del continente.

Nel luglio del 1181 il vescovo di Anglona Roboan concedeva alla chiesa di Monreale i diritti che la sua chiesa riscuoteva sul monastero basiliano di Sant’Elia in Monte Carbone, nonché sulle celle, le obbedienze e i possedimenti del detto monastero:

Nell’aprile del 1182 Raynaldo, vescovo di Bisignano, rinunziava ai diritti giurisdizionali e vescovili che possedeva sul monastero di Santa Maria di Maccla e sulla chiesa di San Nicola di Campo:

Nel novembre dello stesso anno anche l’arcivescovo di Reggio, Tommaso, cedeva alla chiesa di Monreale lo ius benedictionis e ogni diritto episcopale sul monastero di San Salvatore di Mertello e sul convento di monache di San Giovanni ex Ocaliva:

In ultimo, con documento datato a Brindisi nel giugno del 1185, l’arcivescovo Pietro donava a Santa Maria Nuova ogni diritto vescovile e parrocchiale detenuto sulla chiesa del Santo Spirito di Brindisi e su quella di Sant’Angelo de Campo:

Particolare attenzione meritano, in questo contesto, un gruppo di privilegi – distribuiti egualmente tra le partes III e la IV del codice – che dimostrano l’estensione dell’influenza monrealese sulla zona orientale della Sicilia, notoriamente controllata dall’arcidiocesi di Messina.

Edizione diplomatica

Struttura, caratteristiche e contenuti del Liber

 

 

 

Su espressa richiesta della regina Margherita ad esempio, venne sottoposto alla giurisdizione di Monreale il monastero di Santa Maria di Maniaci, che veniva quindi sottratto all’influenza della sede vescovile messinese: tanto che all’arcivescovo Nicola non restava che esentare l’abbazia di Santa Maria di Maniace da ogni obbedienza verso la propria diocesi, confermando ufficialmente la cessione dei diritti episcopali a Santa Maria Nuova.

documento III.3 (Messina 1174, 1 marzo, VII indizione)

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Il passaggio veniva ratificato da Alessandro III il 30 dicembre 1174 e confermato dai suoi successori Lucio III, Clemente III, Innocenzo III:
documento II.1(Ferentino 1174, 30 dicembre, VIII ind.),

e le conferme di Lucio III:

Clemente III:

Innocenzo III:

 

Intanto, con  privilegio del 5 marzo 1177, il vescovo Teobaldo accordava ai frati del convento di Maniace la facoltà di eleggere l’abate, ricevere la cresima e l’olio santo, avere battisto e cimitero: in cambio il monastero era obbligato a versare ogni anno all’arcivescovato di Monreale un censo di due libbre di cera e due d’incenso, garantendo vitto e alloggio per trenta uomini e orzo per trenta cavalcature, nel caso in cui il vescovo vi avesse fatto visita; l’abate di Maniace veniva inoltre obbligato a prestargli giuramento d’obbedienza e a recarsi annualmente alla festa della consacrazione della chiesa di Santa Maria Nuova.

documento III.2 (1177, marzo, X indizione)

documento III.1 (1177, aprile, X indizione)

L’anno successivo Nicola, arcivescovo di Messina, ancora una volta su istanza della regina Margherita, dotava l’abbazia di Maniace – e quindi indirettamente anche l’arcivescovato di Monreale – dei diritti episcopali su numerose chiese della sua diocesi, aggiungendo al privilegio la possibilità di edificare chiese a Messina e Taormina. 

documento III.5 (Messina 1178, maggio, XI indizione)

regesto

Vai alla Scheda su Teobaldo di Monreale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Difficoltose furono però le vicende attraversate dall’abbazia di Maniace, il cui problematico controllo fu forse aggravato dalle accese polemiche suscitate dal trasferimento di competenze giurisdizionali all’arcivescovato di Monreale, come confermano alcuni documenti del cartulario che attesterebbero – tra l’altro – l’inizio di un periodo di decadenza dell’abbazia maniancese, probabilmente causato da una cattiva amministrazione affidata ad abati commedatari.

Dal XIII secolo l’amministrazione dell’abbazia veniva tolta dalle mani dei monaci e affidata a commedatari che disponevano di tutte le proprietà del monastero, fornendo ai ai monaci solo una piccola rendita annua per il loro sostentamento:

v. a titolo di esempio il diploma IV.1 (Randazzo 1270, 3 ottobre, XIV indizione) con cui Marino, priore di Santa Croce di Messina autorizzato dall’arcivescovo di Monreale Trasmondo, assegnava il comando del monastero di Santa Maria di Maniace a Fra’ Guglielmo, un tempo priore di Santa Maria Latina di Messina.

 

La situazione era talmente grave che nel 1295 Bonifacio VIII, sobillato dal vescovo di Neocastro Tancredi, ordinava l’unione del monastero di Santa Maria di Maniace al monastero cistercense di Marmossolio, appartenente alla diocesi di Velletri: ma, poichè Fra’ Francesco, che era stato l’abbate di Maniace, riusciva a dimostrare la falsità delle dichiarazioni di Tancredi, che nel frattempo aveva occupato l’abbazia, il rettore del monastero cistercense di Marmossolio decideva di rinunciare al patronato, che tornava quindi nelle mani dell’arcivescovato di Monreale.

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lettera papale (Roma – San Pietro 1295, 16 dicembre, IX ind.): IV.9

documento IV.10 (Randazzo 1303, 20 marzo, II indizione)

documento IV.12 (Maniace 1306, 22 febbraio, V indizione)

 

 

 

 

L’interesse di questa documentazione, relativa alla fondazione delle dipendenze ecclesiastiche di Monreale, sta anche negli evidenti effetti patrimoniali connessi alla subordinazione giurisdizionale di chiese e diocesi.

 

Attraverso l’assegnazione delle decime  –  innovazione che non aveva in Europa un modello immediato e che risultava estranea anche alla prassi amministrativa bizantina2 – i vescovati, fin dalla prima età normanna, erano stati infatti inseriti a pieno titolo nel sistema economico siciliano, e per questa via la Corona era riuscita a creare una reale convergenza di interessi fiscali con la Chiesa.

Sull’argomento cfr.

G. Salvioli, Le decime di Sicilia e specialmente quelle di Girgenti, Palermo, A. Reber 1901.

 

Tuttavia, la corresponsione dei diritti di decima incontrava sempre molte resistenze: non sembra dunque un caso Federico II intervenisse per confermare i diritti ecclesiastici, a cominciare dalle decime dovute dai borgesi di Monreale e da quanti possedevano beni sul territorio dell’arcivescovato, imponendo a tutti il giuramento di fedeltà3.

documento I.15 (Messina 1212, febbraio, XV ind.)

 

Il caso più interessante è rappresentato dalla vexata quaestio tra l’università di Corleone – i cui tributi erano stati ceduti dal vescovo di Agrigento nel 1182 – e l’arcivescovato di Monreale, a causa del mancato pagamento in natura delle decime ecclesiastiche. La lite, insorta nel 1273, si concludeva nel 1280, con un accordo tra i procuratori delle due istituzioni che prevedeva la corresponsione della somma di 50 onze annuali, che i borgesi di Corleone avrebbero dovuto versare «pro recompensatione seu satisfactione decime».

Sulla questione cfr.

G. Colletto, Storia della città di Corleone, Siracusa, Tip. Littoriale 1934, pp. 47-52.

Per il corpus normativo dell’universitas di Corleone, suddiviso nelle assise, consuetudini e privilegi, cfr.

R. Starabba, L. Tirrito, Assise e consuetudini della terra di Corleone, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, II, 2, Palermo 1884.

Stessa prassi venne seguita nel 1314, quando l’arcivescovato di Monreale pattuiva con i rappresentanti della universitas casalis Busackini il nuovo ammontare della decima, fissata fino ad allora nella misura complessiva di 50 onze annuali, cfr.

V. D’Alessandro, Il ruolo economico e sociale della Chiesa cit., p. 279.

 

 

 

 

 

Il fatto, che rientrava nell’ordinaria gestione e amministrazione dei territori soggetti, indica però chiaramente come la signoria monrealese, per mantenere nel XIII secolo le posizioni precedentemente acquisite, fosse ormai costretta a difendere con forza le proprie prerogative, soprattutto nei confronti dei nascenti organismi universitari che, proprio in quell’epoca, erano impegnati nella costruzione di un proprio districtus politico, spesso sovrapposto – quando non sostitutivo – al potere politico dell’arcidiocesi.

 

 

 

1  M. Caravale, La feudalità nella Sicilia normanna cit., p. 46. Sui distretti diocesani v. P. Corrao, V. D’Alessandro, Geografia amministrativa e potere sul territorio nella Sicilia tardomedievale (secoli XIII-XIV), in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G. Chittolini, D. Willoweit, Bologna, Il Mulino 1994 (Annali dell’Istituto storico italo-germanico. Quaderno, 37), pp. 395-444:405ss.

2  Cfr. N. Kamp, Vescovi e diocesi dell’Italia meridionale nel passaggio dalla dominazione bizantina allo Stato normanno cit., p. 389.

3 Cfr. V. D’Alessandro, Il ruolo economico e sociale della Chiesa in Sicilia dalla rinascita normanna all’età aragonese cit., p. 279.

4 Sulla questione cfr. G. Colletto, Storia della città di Corleone, Siracusa, Tip. Littoriale 1934, pp. 47-52. Per il corpus normativo dell’universitas di Corleone, suddiviso nelle assise, consuetudini e privilegi, cfr. R. Starabba, L. Tirrito, Assise e consuetudini della terra di Corleone, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, II, 2, Palermo 1884. Stessa prassi venne seguita nel 1314, quando l’arcivescovato di Monreale pattuiva con i rappresentanti della universitas casalis Busackini il nuovo ammontare della decima, fissata fino ad allora nella misura complessiva di 50 onze annuali, cfr. V. D’Alessandro, Il ruolo economico e sociale della Chiesa cit., p. 279.