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Dagli angioini agli aragonesi.

La crisi dei secoli XIII-XV

Sebbene la storiografia sulle istituzioni medievali siciliane sia stata a lungo condizionata dall’impronta monolitica della monarchia normanna e sveva, fomentando l’illusione di una stabilità ininterrotta, «quasi che il quadro costituitosi nel XII secolo sia una sorta di modello genetico contenente le linee dei successivi sviluppi»1, la storia di Monreale che si dipana lungo gli anni che vanno dalla presa del potere di Carlo d’Angiò alla dominazione aragonese appare invece, inesorabilmente, contrassegnata da una profonda crisi.

 

 

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Ed è talmente evidente, questa rottura con l’ordine precedente, che lo stesso Liber privilegiorum ne denunzia la gravità col silenzio delle carte, lasciando in ombra – almeno per quel che concerne la sua parte più ufficiale, quella cioè relativa alle relazioni con sovrani e pontefici – anni lunghi e difficili, travagliati dai risvolti della lunga guerra successiva ai Vespri, dalla prepotenza baronale, dall’insicurezza interna, dalla peste.

Bibliografia su Impero e Papato

Struttura, caratteristiche, contenuti del Liber

 

 

Il regno angioino, come ha felicemente sintetizzato Giovanni Tabacco,

fu un agglomerato di poteri politici e amministrativi, tenuto insieme da gerarchie burocratiche e feudali, da convenzioni e fedeltà di enti disparatissimi, nella tradizione segnata dall’esperienza normanno-sveva, e con una contraddizione fondamentale tra i processi organizzativi che si tentavano (…) e la gravità delle crisi che le guerre per la Sicilia e le successioni dinastiche provocavano, aprendo ampi spazi allo sviluppo dei poteri principeschi e delle pluriformi autonomie locali,

G. Tabacco, Regimi politici e dinamiche sociali, in Le Italie del tardo medioevo. Atti del IV Convegno del Centro di studi sulle civiltà del tardo medioevo, a cura di G. Gensini, Pisa, Pacini 1990, pp. 27-49:42.

Nel panorama della medievistica italiana uno dei campi di studi rimasto inusitatamente più in arretrato è quello sul regno angioino di Napoli. Recentemente si assiste però ad un risveglio di interesse,  che coinvolge studiosi francesi, italiani, tedeschi e anglosassoni: per un quadro sintetico, si rimanda al saggio di S. Morelli, Il “risveglio”della storiografia politico-istituzionale sul regno angioino di Napoli, in Reti Medievali. Rivista, 1 (2000).

Fu un’epoca sulla quale anche la documentazione monrealese tacque, rendendo difficoltosa persino la ricostruzione della storia dell’arcidiocesi e del suo territorio, probabilmente intrappolato nelle maglie di quella che fu una resistenza disordinata ma duramente repressa dai francesi.

Elenco cronologico dei documenti

 

 

Ciò che emerge dall’analisi delle fonti documentarie relative alla dominazione angioina nel Mezzogiorno d’Italia quindi, non può che essere un quadro istituzionale e politico generale, fatto di lievi, ma sostanziali, interventi sul sistema preesistente, nel quale la compagine ecclesiastica collaborava attivamente all’amministrazione del nuovo regime e, attraverso questo varco, tentava il recupero dei propri patrimoni dispersi2. 

Una signoria ecclesiastica e il suo territorio

Bibliografia sui Registri della Cancelleria Angioina

 

 

 

Pare anzi, che Carlo d’Angiò si fosse impegnato attivamente nel sostegno alle chiese locali, con una serie di atti emanati dalla sua cancelleria a partire dal marzo 1266 e fino al dicembre dello stesso anno, e che il suo atteggiamento nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche siciliane fosse improntato ad un generico favore, testimoniato da numerose ordinanze e decreti indirizzati alla difesa di immunità ed esenzioni o da misure legislative che confermavano autorevolmente consuetudini e privilegi.

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«(…) al di là dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, Carlo d’Angiò si poneva, sul piano propriamente politico, in chiara continuità con la passata dinastia, per cui la sua condotta fu sempre ispirata agli interessi della monarchia»: i ripetuti interventi a difesa del clero «nascevano infatti non solo e non tanto da autentica pietà religiosa, quanto piuttosto, come al tempo di Federico II, dall’alta concezione che egli aveva del suo ruolo di garante della pace e della giustizia»,

G. Vitolo, Il monachesimo benedettino nel Mezzogiorno angioino: tra crisi e nuove esperienze religiose, in L’état angevin. Pouvoir, culture et société entre XIIIe et XIVe siècle. Actes du Colloque international organisé par l’American Academy in Rome, l’École française de Rome, l’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, l’U.M.R. Telemme et l’Université de Provence, l’Università degli Studi di Napoli « Federico II » (Roma – Napoli, 7-11 novembre 1995), Roma, Ecole française de Rome 1998 (Collection de l’Ecole française de Rome, 245), p. 208.

Numerosi in questo periodo, furono i ricorsi all’autorità regia da parte delle comunità monastiche meridionali, alle prese con soprusi e violenze da parte dei feudatari e funzionari pubblici, cfr.

G. Vitolo, Il monachesimo benedettino nel Mezzogiorno angioino cit., pp. 205-206.

 

 

Sebbene la fiscalità angioina e gli abusi commessi dagli ufficiali di Carlo d’Angiò colpissero spesso anche le comunità monastiche, le signorie ecclesiastiche rurali e costiere, godettero di una rinascita rapida e concreta, che contrastava nettamente con l’involuzione attraversata in questi stessi anni dalle altre società rurali, demaniali o feudali che fossero.

Cfr. L. Catalioto, Comunità rurali e centri costieri nella Sicilia Angioina. Un’ambigua evoluzione istituzionale e sociale, tra inquadramento feudale e sviluppo municipale, in Incontri Mediterranei, 1 (1994), pp. 195-212:205.

Quella della fiscalità è una problematica che per anni è stata utilizzata dalla storiografia sul Mezzogiorno per avvalorare l’idea che il sistema di tassazione angioina fosse sistema iniquo e inviso alle popolazioni, motivo che avrebbe provocato lo scoppio della guerra del Vespro e di conseguenza, un primo determinante scossone all’equilibrio di forze economiche e sociali del Regno.

Una relazione dettagliata sull’argomento è stata presentata da Serena Morelli al congresso Fiscalidad y sociedad en el Mediterráneo bajomedieval (Málaga, 17-20 de mayo de 2006), cfr. S. Morelli, Il sistema delle imposte dirette ed indirette nel mezzogiorno angioino e aragonese.

 

Sembra però che Monreale non sia stata toccata da questa bendisposta compiacenza: piuttosto, fu vittima di feroci usurpazioni, al punto che papa Clemente IV si trovò costretto ad autorizzare l’arcivescovo Trasmondo a scomunicare coloro che impropriamente si fossero impossessati dei beni della chiesa.

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Dietro questa severa disposizione, a misura tanto rigorosa, la chiesa rientrò infatti in possesso dell’abbazia di Maniace e ottenne l’ubbidienza dell’archimandrato di Sant’Elia di Carbone in Basilicata.

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Il documento non è presente né nel cartulario né nel tabulario; da Concetti si ricava la notizia secondo il quale venne redatto a Viterbo il 24 settembre del 1268 (XII indizione), cfr.

C. Concetti, Monreale e i suoi dintorni cit., p. 119.

 

Nessuna traccia, nel cartulario, della sollevazione dei Vespri, che nel 1282 poneva fine al governo angioino dell’isola, aprendo quella “questione siciliana”  che per oltre due decenni avrebbe dominato la politica europea e mediterranea e, in ambito locale innescava un processo di continue deposizioni di prelati coinvolti nelle lotte di potere palermitane, determinando anche il trasferimento dell’arcivescovo Giovanni Boccamazza – filofrancese – e la vacanza della sede monrealese per oltre venticinque anni, fino all’elezione di Arnaldo di Raxac avvenuta nel 1306.

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«Per circa un quarto di secolo nessun arcivescovo può mettere piede a Monreale. Successore del Boccamazza a Monreale è Pietro Gerra, uomo di grande valore, grande diplomatico, ma che – a motivo appunto della guerra che infuriava tra re Pietro e gli Angioini – non può toccare Monreale»,

G. Schirò, Monreale: capitale normanna cit., p. 37.

F. Hayez, I Vespri siciliani

L’assenza di cenni all’insurrezione siciliana e alla conseguente riconfigurazione dell’area cristiano-occidentale del Mediterraneo, che determinavano una politica pontificia di ostinato perseguimento della restaurazione angioina in Sicilia, cui faceva seguito la consapevolezza della necessità di una redistribuzione dei poteri e delle egemonie su scala internazionale, appare – in verità – un fatto curioso, soprattutto in relazione all’amplia portata delle implicazioni e dei collegamenti che la situazione siciliana innescava nei confronti dell’autorità della sede romana e degli equilibri fra le potenze commerciali del Mediterraneo.

 

 

Il Trionfo della Morte

Il codice del resto, non contiene accenni nemmeno all’epidemia di peste del 1348 e a quella, ancora più grave, del 1362, per la quale sembra che Monreale avesse subito diverse perdite, non ultima quella dell’arcivescovo Emanuele Spinola.

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«Le difficoltà economiche, le conseguenze anche di natura igienica, demografica e psicologica, della peste del 1348, i sempre crescenti intralci di approvviggionamento dei centri urbani, le risse fra i baroni e la presenza angioina a Palermo, a Milazzo, a Siracusa, rendevano la situazione instabile e piena di incertezze»,

S. Tramontana, Il Mezzogiorno medievale. Normanni, svevi, angioini, aragonesi nei secoli XI-XV, Milano, Carocci 2000,  p. 113.

Sugli effetti della peste v. anche G. Andenna, Effetti della peste nera sul reclutamento monastico e sul patrimonio ecclesiastico, in La Peste Nera: dati di una realtà ed elementi di una interpretazione. Atti del XXX Convegno storico internazionale (Todi 10-13 ottobre 1993), Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo 1994, pp. 319-347.

Da un punto di vista prettamente politico, l’aspetto più notevole del processo storico in atto in quegli anni sembra essere stato ovunque il tentativo dei maggiori centri isolani di esautorare l’autorità regia, che si tradusse sul piano economico nell’avvilimento delle classi commerciali e produttrici – inadeguate a rappresentare un modello alternativo e a creare capitali da investire in attività diverse da quelle agricole – e sul piano sociale si espresse nella spiccata tendenza dei livelli medio-alti a vivere secondo i modi e gli stili della classe feudale.

 

 

Il fenomeno dovette – almeno parzialmente – attuarsi anche a Monreale dove, nonostante l’esiguità delle notizie fornite dalla documentazione esaminata, sembra essersi proprio in quegli anni iniziato a sviluppare un centro cittadino, retto da figure di notabili locali provenienti dalla sfera amministrativa e giuridica.

Negli stessi anni tuttavia, gli scritti di Gregorio XI ai prelati della Sicilia – che venivano esortati a trasferire a Monreale da altre chiese «tanti monaci quanti se ne possono ricevere e sostenere» – documentano lo stato di degrado e abbandono del monastero di Santa Maria Nuova.

Con un notevole salto temporale il cartulario si sposta dunque, attraverso la trascrizione di due diplomi, alla seconda metà del XV secolo.

 

 

Nel primo, Alfonso V, che nell’autunno del 1420 aveva solennemente ribadito l’unione personale tra Aragona e Sicilia, dimostrando per l’isola un interesse particolare e non riducibile alla sola utilizzazione del territorio in termini finanziari e logistici, ma comprendendo parallelamente di governare in «una situazione inquieta e difficile, carica di contraddizioni e assai fluida anche in termini di consensi»3 , confermava ancora una volta tutti i privilegi della chiesa di Monreale e parallelamente concedeva all’arcivescovo Giovanni Ventimiglia, suo consigliere, la cittadinanza di Palermo.

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documento IV.26 (10 settembre del 1443, VII ind.)

Privilegi di Confirmatio Bonorum

 

 

 

Alla morte del Magnanimo però, si dissolveva ancora una volta l’idea di un impianto unitario assegnabile al Mezzogiorno e la Sicilia, perduta la propria autonomia e affidata a re Giovanni II, veniva definitivamente inserita – a seguito delle Corti di Fraga del 1460 – nel sistema economico, politico e militare della Corona d’Aragona.

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Compresa in un territorio ormai aggregato, contrafforte della sicurezza e dell’unità della penisola iberica, anche la diocesi di Monreale, pur posta sotto la protezione di Giovanni d’Aragona, viveva gli scompensi di un’epoca contraddittoria, provocati da una situazione sociale diversificata, da un contesto economico critico, in sostanza, da una profonda instabilità strutturale. È l’ultimo privilegio trascritto nel codice. Col diploma, dato a Saragozza il 4 dicembre del 1464, Giovanni ordinava a tutti i funzionari regi di rispettare e difendere i diritti della chiesa di Monreale, che evidentemente venivano nuovamente contestati, dichiarandola sotto la sua speciale protezione.

 

 

 

Sotto questo segno, vagamente malinconico, si conclude la scrittura della memoria della Monreale medievale: di un’istituzione cioè le cui vicende, lungi dall’apparire periferiche, si incastrano perfettamente all’interno della vitalità e della ricchezza della storia siciliana, dando vita ad un percorso autonomo ma parallelo a quello dei poteri presenti sullo scacchiere mediterraneo e il cui senso più profondo risiede proprio nella sua proiezione in una dimensione più ampia. In questo gioco politico, tra alti e bassi, la signoria di Santa Maria Nuova di Monreale restò soggetto attivo, un luogo dal profondo impatto sociale, calato nella realtà locale ma non sempre confondibile con essa, con la capacità forte di essere strumento – quando non protagonista – della progressiva ridefinizione medievale dei vertici politici e governativi del Mezzogiorno medievale italiano.  

 

 

 

 


1 P. Corrao, Istituzioni monarchiche, poteri locali, società politica (secoli XIV-XV), in Élites e potere in Sicilia dal Medioevo ad oggi, a cura di F. Benigno e C. Torrisi, Catanzaro, Meridiana Libri 1995 (Meridiana Libri. Saggi), pp. 3-16:4.

2  Cfr. L. Catalioto, Terre, baroni e città in Sicilia nell’età di Carlo I d’Angiò, Messina, Intilla 1995 (Collana di testi e studi storici, 7), pp. 152-154.

3  S. Tramontana, Il Mezzogiorno Medievale cit., p. 173.