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Il Rollum Bullarum

 

Tra i documenti trascritti nel Liber Privilegiorum spicca, per la sua lunghezza e rilevanza storica, il diploma noto come Rollum Bullarum rilasciato da Guglielmo II nel maggio del 1182.

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documento I.4 (Palermo 1182, maggio, XV ind.)

Elenco dei documenti

Il Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova

 

 

 

Il formulario, che riprende gli elementi del privilegio solenne, sviluppa nell’arenga il classico tema della preoccupazione reale per il benessere degli istituti ecclesiastici:

Dum in rebus ecclesiasticis statu perpetuo et pace firmissima conservandis clemencia principis exercetur, regni sui statum in presenti servat incolumen et non modicum sibi mercedis comparat in futurum,

cui si accompagna l’interesse, da parte del sovrano normanno, per la salvaguardia della pace e della tranquillità dei monaci.

Da qui la scelta di procurare all’arcivescovo l’elenco dettagliato del patrimonio fondiario del monastero:

Volentes igitur regali monasterio nostro Sancte Marie Nove, quod Domino inspirante fundavimus, sicut rerum providimus incrementis, sic illibate pacis et tranquillitatis custodia providere, subscriptas possessiones et tenimenta que sibi sunt a nostra liberalitate concessa, ad perpetuam eius securitatem et pacem et ut monasterium ipsum ea perpetuo sine calumpnie metu possideat, nec ulla unquam adversus ipsum inde questio moveatur, aut lites emergant, propter quas fratrum ibidem Deo serviencium tranquillitas pertubetur, dignum duximus certis terminari finibus et distingui, sicut est inferius annotatum.

 

Il privilegio originale – scritto in latino, greco e arabo ed edito da Salvatore Cusa alla fine dell’Ottocento – è stato spesso utilizzato come punto di partenza per le indagini archeologiche condotte sugli insediamenti medievali siciliani, avviate dal 1970 in poi e culminanti nella Monreale Survey ideata e diretta da Jeremy Johns.

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Il documento è custodito presso la Vai al Collegamento esterno Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Tabulario di Santa Maria Nuova di Monreale, perg. nr. Balsamo 163: 7 pergamene numerate e legate tra loro, della lunghezza complessiva di m. 5, 195+mm. 77.

Il testo è in latino nelle prime tre pergamene, mentre le successive quattro recano la sua versione araba,

cfr. S. Cusa, I diplomi greci e arabi di Sicilia, 2 voll., Palermo, Stab. tip. Lao 1868-1882 (Documenti degli Archivi siciliani), pp. 179-244.

Il fatto che Guglielmo faccia redigere il documento in tre lingue dovrebbe indicare, la volontà di darne massima divulgazione e in parallelo, l’esistenza di una popolazione mista alla quale quindi si adegua la cancelleria del re.

Lo studio del documento è stato affrontato nel tempo da numerosi eruditi (Del Giudice, Gregorio, Amari con Dufour, Di Giovanni, La Corte solo per citarne alcuni) i quali, data l’abbondanza di particolari forniti dal testo, si sono spesso lasciati andare a facili quanto rischiosi entusiasmi sulla corrispondenza tra i siti descritti e la realtà dei luoghi.

Il diploma, nel quale vengono minuziosamente descritti la composizione e i confini di una consistente parte del dominio monrealese, riveste un interesse eccezionale nel campo della toponomastica, della geografia storica e dello studio delle rappresentazioni spaziali.

Analisi delle divisae di Monreale
Semiotica dei confini e descrizione del territorio

 

 

 

Si tratta, probabilmente, dell’esempio più significativo di quel gruppo di documenti noti alla diplomatica siciliana come giaride o platee,coi quali si indica una speciale serie di carte pubbliche contenenti descrizioni territoriali in unione agli elenchi nominativi dei servi e dei villani di una data terra o casale appartenenti al demanio regio o conceduti a chiese, monasteri, vescovati e feudatari. 

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La struttura compositiva del documento, in cui il territorio di Monreale appare frazionato in divise di cui vengono enunciati i confini e il reddito in natura, va sicuramente ricollegata ai registri contenenti le descrizioni delle terre demaniali, un tempo conservati negli uffici della Duana de Secretis e della Duana Baronum e conosciuti con il nome di defetari, la cui controversa origine non è ancora stata chiarita.

Elenco delle divise e alla tabella delle salme

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Analisi delle divisae di Monreale

Semiotica dei confini e descrizione del territorio


 

 

 

Se il rollo del 1182 per Monreale fu estratto da un registro doganale, come indicherebbe il chiaro riferimento nella corroboratio1., non è detto che la trascrizione del documento non sia stata comunque integrata da una ricognizione topografica effettuata sul territorio: una conferma in tal senso potrebbe provenire dalla notizia, riportata dal Garufi, secondo la quale il giustiziere della Magna Curia che nel 1188 compilava un analogo documento per il vescovo di Cefalù, avendo utilizzato un certo quaternus della Duana redatto nel 1123 dal protonotaro della Curia ma trovandolo poco aggiornato, avesse deciso di compiere un accertamento personale sulle terre in questione2.

L’esame della traduzione latina del lungo documento, che dà origine ad un testo singolare pur nella sua sostanziale correttezza, stimola qualche considerazione linguistica.

Se infatti la toponomastica rappresenta spesso l’unica dimostrazione ancora visibile di etnie e culture cancellate dal tempo, è indubbio che il rollum è testimonianza unica di un sostrato arabo che agisce, progressivamente storpiato e volgarizzato, sul lessico geografico siciliano.  

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Illuminato Peri ha osservato che, dallo scorcio dell’XI secolo, si ripetono nella documentazione siciliana indicazioni di onomastica e toponomastica il cui eccezionale rilievo sta proprio nella possibilità di cogliere, per loro tramite, i segni ancora vivi della presenza islamica nonostante gli evidenti adattamenti e le deformazioni dovuti alla necessità di tradurre da una lingua all’altra concetti e realtà materiali3 .

Ponendo infatti a diretto confronto le sequenze dell’originale testo arabo con quelle corrispondenti della traduzione latina si evidenziano indubbiamente alcune difformità, che richiederebbero opportune verifiche sul rapporto tra le due parti:

si tratta, in generale, sia di letture dubbie, sia di alternanze singolare/plurale o maschile/femminile, sia di non corrispondenze tra arabo e latino, causate verosimilmente dal fraintendimento e dunque dalla deformazione di toponimi nella translitterazione da una lingua all’altra,

M.A. Vaggioli, Note di topografia nella Sicilia medievale: una rilettura della Jarīda di Monreale (divise Battallarii, divisa Fantasine), in Atti delle Quarte Giornate Internazionali di Studi sull’area Elima (Erice, 1-4 dicembre 2000). III, a cura di A. Corretti, Pisa, Scuola Normale Superiore 2003, pp. 1247-1317:1249.

Queste difficoltà sono tanto più visibili nelle attestazioni documentarie biligui in cui i nomi di località arabe, verosimilmente già adattate dall’autore alle finalità cancelleresche, vengono sottoposte ad ulteriore traformazione nella versione latina.

Nel campo delle corrispondenze lessicali dei termini legati al territorio rintracciati nel documento, particolarmente confuse appaiono:

  • ğabal (monte) tradotto mons o montana;

  • hārik  (criniera, sommità, vetta) in latino terterum o altera ilā hārik ibn Hamzah»viene convertito nel documento «ad alteram Benhamse»), ma anche monshārik ar-rīh», tradotto «mons venti»);

  • rabwah (elevazione, collina) che diventa alteraila ‘r-rabwah» nel rollo è «usque ad alteram»);

  • šaraf (sega, cima dentata) tradotto con altera, crista, serra;

  • kudyah (colline), in latino monticellus, monticulus e più raramente altera;

  • minŝār (catena di monti) reso con serra;

  • walğah (campo) riportato come planum, planus campus e planicies.

Interessanti gli esiti della traduzione dei termini di confinazione:

  • hadd (limite, frontiera), che sembra seguire la stessa evoluzione semantica del latino finis e del tardo latino divisa, indicando così insieme sia i confini, sia il territorio compreso entro gli stessi e quindi il tenimentum;

  • hawz, tradotto ora con tenimentum ora, con una sfumatura amministrativa, pertinenza (e infatti «rahl bahrī fī hawz Gātū»è reso nel documento «Rahalbahari, quod est in pertinentiis Iati») ma anche come luogo circondato da un recinto ilà hā’it hawz (al- mabānī)»è tradotto «usque ad murum Parci»).

Sull’indeterminatezza della parola tenimentum, che appare nei cartulari toscani del secolo XI per indicare un fondo rustico e, al tempo stesso, una determinata forma di possesso, cfr.

P. Jones, Le terre del capitolo della cattedrale di Lucca (900-1200), in Id., Economia e società nell’Italia medievale cit., pp. 275-294:283.

Se la terminologia geografica relativa al territorio controllato da Santa Maria Nuova, nella maggior parte dei casi, contiene una buona carica definitoria – pur nella variabilità e nella difficoltà di attestarsi su locuzioni e vocaboli precisi – è comunque manifesta l’assoluta prevalenza della matrice araba, cui fa da contraltare una limitata cristianizzazione della toponomastica: una spia in tal senso è la quasi totale assenza di toponimi legati al culto dei santi, che però compariranno con parsimonia sul territorio monrealese anche in epoche successive.

 

 

Al di là dei numerosissimi kalat, rahal e mensil che definiscono le forme di insediamento più tipiche della regione, si incontrano toponimi come Bayda (ar. al-Baydā’, la Bianca), Bulluchum (ar. Bū’luqm, nome di persona), Busackinum (ar. Bū Zakī, padre del puro o dell’innocente, da cui l’odierno Bisacquino) di evidente derivazione arabofona.

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Il fenomeno si riscontra anche nel lessico geografico, dove frequenti sono termini come

  • balata (ar. balat, pietra piana, lastra o lastrone), prestito rimasto nel siciliano odierno, attestato anche in funzione toponomastica;

  • margio (ar. marğ, luogo basso dove stagna l’acqua, palude), da cui nel siciliano margiu;

  • favaria (ar. fawwar, sorgente d’acqua), da cui il siciliano favara, che sopravvive in parecchi toponimi siciliani

Alcuni toponimi inoltre, in unione alla traduzione latina, producono sovente toponimi a forma raddoppiata: l’esempio più significativo è costituito dal nome Mongibello, risultante dall’unione del mons latino con il ğabal arabo di cui è la traduzione.

L’analisi di simili voci può forse essere considerata l’esempio più rappresentativo dell’ausilio che la toponomastica fornisce all’indagine geografica.

Un termine come margio infatti è spesso l’unico testimone di un paesaggio completamente trasformato dall’azione umana: le aree acquitrinose nella quasi totalità dei casi sono state prosciugate o bonificate, mentre i cordoni litoranei sono stati spianati e tagliati per consentire la valorizzazione turistica delle spiagge.

Superando il lessico, il caso linguistico più interessante del documento è tuttavia l’utilizzo di un particolare tipo sintattico che, attraverso la duplicazione di sostantivi quasi sempre connessi ad un verbo come andare o camminare, esprime un moto per luogo o più esattamente un “moto rasente luogo”4. Il sintagma si rileva nella descrizione dei confini, dando luogo a frasi così articolate: «ascendit per cristam cristam», «vertitur divisa ad occidentem per viam viam», «descendit divisa per flumen flumen», «vadit per serram serram»5.

Se forme bisillabiche risultanti da duplicazione sono abbondatemente attestate nel dialetto siciliano senza che il loro processo costitutivo vada considerato peculiare dell’isola o dell’area mediterranea in genere, per il tipo camminare riva riva è stata invece proposta una formazione monogenetica nel Mezzogiorno, non tanto per la sua struttura formale6 quanto per la frequenza con cui compare nella documentazione siciliana d’età normanna e sveva.

Sulla base della segnalazione di attestazioni similari rintracciate da Rohlfs in diplomi siciliani di età sveva scritti in latino e in carte dell’Italia meridionale ancora più antiche di lingua greca (cfr. G. Rohlfs, Italienish navigare riva riva, in Zeitschrift fǜr Rom. Philol., 45 (1925), pp. 292-296) Caracausi ha confutato l’ipotesi di una derivazione dalla lingua araba, dove non risulterebbe traccia di questo costrutto – almeno in tale specifica funzione – , prospettando invece un’origine dal greco dove il sintagma, sempre col senso di attraverso, lungo, trova ancora oggi una certa vitalità,

cfr. G. Caracausi, Ancora sul tipo “camminare riva riva” cit., p. 393.

L’uso ridondante di questa forma di duplicazione – che sembrerebbe indicare uno sforzo di adeguamento alle norme sintattiche della lingua latina ad un costrutto estraneo ad essa –  unito ad un’analisi delle abitudini ortografiche del traduttore potrebbero fornire ulteriori elementi per l’identificazione del copista, da alcuni ritenuto di origine francese.

«Il traduttore del documento doveva essere un francese. Nella sua lingua materna il suono s era ed è rappresentato ora dalla lettera s (come in sien), ora dalla lettera c (come in ciel); per cui una volta trascrisse divisa Hendulcini, altra volta casale quod dicitur Hendulcini».

E ancora: «Davanti ad un toponimo, per esempio, che interprete pronunciava Giàlsu, se la cavò con un divisa terrarum Ialcii (i = j francese) ora con un per Ialcium, poi con Calat-Ialci»,

B. Rocco, Andalusi in Sicilia, in Archivio Storico Siciliano, s. III, 19 (1969), pp. 267-276:271.

L’ipotesi troverebbe una conferma nel costrutto di alcuni vocaboli, prima tradotti in francese e poi latinizzati, come il termine arabo per collina (harik) riportato in lat. terterum, dal fr. terte.

 

Esame codicologico e paleografico del testimone

 

 

La ricognizione del diploma, ottimo punto di partenza per analizzare la composizione del dominio monrealese, va compiuta valutando il frazionamento del territorio. La scomposizione in un numero elevato di distretti rurali presieduti da un casale di grandi o medie dimensioni è un sistema di organizzazione territoriale che potrebbe ricalcare una preesistente organizzazione araba – secondo il modello dell’hisn verificato per la Spagna – basata su strutture microterritoriali composte da spazi aperti costruiti intorno ad un sito eminente, centro ideale della tenuta.

documento I.4

Analisi delle divisae di Monreale

Elenco delle divise di Monreale

 

 

 

 

 

 

 


1 Dove infatti si legge: «Has autem divisas predictas a deptariis nostris de saracenico in latinum transferri ipsumque saracenicum secundum quod in eisdem deptariis continetur sub latino scribi precepimus».

2  Cfr. C.A. Garufi, Censimento e Catasto della popolazione servile cit., pp. 50-51.

3  I. Peri, Fonti documentarie per lo studio della toponomastica siciliana, in Atti e memorie del VII Congresso Internazionale di scienze onomastiche. II. Toponomastica, Firenze, L. Olschki 1922, pp. 323-346:326.

4  B. Migliorini, Il tipo sintattico «camminare riva riva», in Linguistica e Filologia. Omaggio a Benvenuto Terracini, a cura di C. Segre, Milano 1968, pp. 183-190:186.

5 «Voce molto diffusa in tutta la Sicilia, con cui si indicano non solo le creste seghettate o margini interrotti di burroni rocciosi, ma anche molti che non presentano la regione culminante con caratteri di sega», G. Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia cit., p. 55. È però probabile che termini come serra o cresta indichino, nella documentazione analizzata, interi complessi montuosi. 

6 «In Sicilia e nell’Italia meridionale questo tipo di raddoppiamento esprime, con la frequenza e la varietà spiccata delle repliche di senso proprio e traslato, la sua massima vitalità quantunque altrove si presenti (…) in una serie di forme che ne dimostrano la fortuna nel toscano e nella lingua stessa», G. Caracausi, Ancora sul tipo “camminare riva riva”, in Bollettino Centro Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 13 (1977), pp. 383-396.