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Chiesa, monastero, arcivescovato:

la relazione col Papato

L’attiva partecipazione della chiesa di Santa Maria Nuova all’organizzazione politica del territorio siciliano nel Medioevo è, forse, l’aspetto più appariscente del suo profondo inserimento in una fitta rete di interessi temporali, cui gareggiava attivamente anche la Santa Sede.

Le incessanti interazioni, o meglio le contaminazioni, tra le due grandi istituzioni politiche medievali, si configuravano – nei secoli centrali del Medioevo – come dei

passaggi ineludibili e indispensabili per una progressiva, reciproca definizione dei rispettivi ambiti d’azione: si tratta di un sistema in cui i due poli si trovavano in continua tensione e spesso in lotta tra loro, ma proprio da questa persistente fibrillazione sortiranno esiti culturali e istituzionali di assoluta originalità, che tanta parte ebbero nel plasmare la civiltà che con molta approssimazione possiamo definire occidentale,

M.P.Alberzoni, Dalla regalità sacra al sacerdozio regale. Il difficile equilibrio tra papato e impero nella christianitas medievale, in L’equilibrio internazionale dagli antichi ai moderni, pp. 85-123.

L’uso del termine “contaminazioni” è suggerito da G.M. Cantarella, Le basi concettuali del potere, in “Per me reges regnant”. La regalità sacra nell’Europa medievale, a cura di F. Cardini, M. Saltarelli, Rimini, Il Cerchio 2002, p. 204.

 

Leone IX

All’epoca della fondazione monrealese, la politica papale – caratterizzata da fasi ora amichevoli, ora ostili – aveva già superato il periodo in cui, sottovalutando la portata del fenomeno, si era servita della gens normannorum a scopi mercenari nella lotta contro Bisanzio e anzi, proprio attraverso questa strategia, aveva finito coll’avviare il loro processo di inserimento nel panorama politico italiano; salvo poi pentirsi della scelta, capovolgendo con Leone IX l’impostazione opportunistica precedentemente seguita e avviando una forte opposizione nei confronti della “minaccia normanna”.

 

 

 

Alla morte di Leone si era infatti aperto uno scenario inedito, con l’alleanza stretta tra Niccolò II e Roberto il Guiscardo cui, durante il Sinodo di Melfi del 1059, erano stati infuedati Capua e il duplice ducato apulo-calabro, inaugurando così una collaborazione più o meno stabile ma non priva di contrasti, in cui i sovrani del Regno di Sicilia venivano alternativamente inseriti o estromessi dai disegni universalistici della Curia pontificia.

La politica riformista, lo sviluppo del centralismo romano e la conseguente evoluzione in senso monarchico del Papato, che si traducevano nella volontà di un controllo capillare sull’episcopato e sulle istituzioni ecclesiastiche locali, avevano infine nuovamente modificato la posizione della Santa Sede, non più disposta a giocare un ruolo passivo nella definizione della rete vescovile meridionale.

 

«Già il sinodo lateranense del 1059, poi il sinodo di Melfi ed infine la consacrazione del monastero di Montecassino nell’anno 1071 furono dimostrazioni pubbliche di questo nuovo collegamento del Papato con l’episcopato meridionale. La riorganizzazione della chiesa italiana meridionale, d’ora in avanti sarà voluta e coordinata anche dai papi (…)»,

N. Kamp, Vescovi e diocesi dell’Italia meridionale nel passaggio dalla dominazione bizantina allo Stato normanno cit., p. 382.

 

 

 

Il Papato viveva dunque una relazione contraddittoria coi conquistatori normanni, conducendo una linea politica ambigua che, in fin dei conti, risultava tatticamente inferiore ai progetti della monarchia siciliana, la cui legittimità era stata abilmente fondata «sulla capacità di combinare la spada e la politica, la pace e la guerra»1 e, in ultima analisi, esaltata dall’avere riportato una terra a Dio.

In questo confronto tra i grandi poteri universali che, lungi dal seguire uno sviluppo lineare, impongono di valutare l’ubicazione della neonata istituzione di Monreale nella delicata condizione geopolitica meridionale, Papato e Monarchia – sostenuti da preventivi accordi di comune protezione –  finivano col condurre un braccio di ferro sul controllo della gerarchia ecclesiastica isolana.

Sull’argomento cfr.

H. Hoffmann, Longobarden, Normannen, Päpste, in Quellen und Forschungen aus italianischen Archiven und Bibliotheken, 58 (1978), pp. 137-180.

 

 

 

E sebbene il concordato di Benevento, dieci anni prima che Guglielmo II assumesse il potere, avesse placato il conflitto divampato per più di un decennio tra Ruggero II e il Papa, relativo al diritto regio di intervenire negli affari della chiesa meridionale, nell’ottica pontificia la Sicilia restava un territorio del patrimonio di San Pietro.

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In base alle presunte donazioni risalenti a Costantino e a Carlo Magno, cfr.

M. Moresco, Il patrimonio di S. Pietro. Studio giuridico sulle istituzioni finanziarie della S. Sede, Milano-Roma, Fratelli Bocca 1916.

Non a caso, la guerra di Sicilia dei Normanni era stata esplicitamente benedetta da Alessandro II (1061-1073) e per essa, dopo la battaglia di Cerami del 1063, la Curia romana aveva ricevuto un pingue bottino, ricambiando con l’assoluzione e col vessillo, simbolo di approvazione e sacralizzazione del conflitto; lo stesso vessillo veniva nuovamente conferito dal Papa anche a Guglielmo il Conquistatore (1066): segno che egli legava le fortune dei Normanni alle sorti della Riforma, cfr.

Z.N. Brooke, The English Church and the Papacy from the Conquest to the Reign of John, Cambridge, Cambridge University Press 1952.

 

Non è dunque irrilevante il fatto che, già due anni prima l’effettiva costituzione di Monreale, Alessandro III – un Papa che intervenne frequentemente nella vita delle diocesi, mostrandosi particolarmente attento alla creazione di nuove strutture ecclesiastiche – avesse promosso Monreale alla condizione di abbazia nullius a pieno titolo.

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Con questa definizione si intendeva un’abbazia regolare, e dunque dotata di autonomia (sui iuris), cfr.

Dizionario di storia antica e medievale Paravia, s.v. Abbazia.

La chiesa di Santa Maria Nuova, oltre a ricevere importanti privilegi ed esenzioni, e fra tutte l’indipendenza giuridica da qualsiasi autorità ecclesiastica, veniva cioè posta sotto la diretta dipendenza della Santa Sede e resa esente dalla giurisdizione del vescovo locale, come si legge nella relativa bolla.

Nel cartulario i diplomi pontifici sono collocati nella Pars II; quelli di Alessandro III sono i documenti:

  • II.1, dato a Ferentino il 30 dicembre del 1174 (VII ind.)

  • II.2, dato ad Anagni nel febbraio 1175 (IX ind.).

Con essi il Papa, sottraendo il monastero alle ingerenze dei vescovati già presenti in territorio siciliano, finiva col rimarcare l’importanza della creazione di Guglielmo II.

L’esenzione implicava il pagamento di un censo annuo alla Curia Romana, versato non a titolo di pensio ma di tributum e segno tangibile dell’immediata soggezione: la tassa, detta census servitutis, doveva essere stabilita in proporzione alle rendite ma finiva con l’essere  generalmente fissata in un’oncia d’oro1.

L’imposizione del censo annuo a Monreale significava, nella propettiva papale, il riconoscimento dell’originaria appartenenza dei territori della diocesi ad un publicum che era in capite al Papato: i diritti che si sarebbero acquisiti nel corso degli anni successivi l’edificazione del complesso abbaziale trovavano in questo modo una legittimazione preventiva che, unita alla libertà di elezione dell’abate, assegnava a Monreale uno status definibile, forse impropriamente, di intangibilità2.

La fondazione di Santa Maria Nuova

 

 

 

Nel frattempo Guglielmo II, rivoltosi all’abate Benincasa del fiorente monastero benedettino della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni, otteneva che cento dei suoi monaci fossero trasferiti a Monreale, e designava come primo abate Teobaldo.

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In realtà, analizzando le sottoscrizioni di confratelli e sacerdoti nei due documenti rilasciati da Teobaldo per l’abbazia di Maniace nel marzo e nell’aprile del 1177 – pochi mesi dopo l’arrivo dei monaci da Cava – pare che la comunità monastica di Santa Maria Nuova consistesse piuttosto di una cinquantina di monaci, cifra comunque notevole per quest’epoca storica.

Le sottoscrizioni nelle due carte – 27 nella prima e 35 nella seconda - arrivano ad un totale di 42 firmatari, incluso l’abate; non esatte dunque, le indicazioni di Carlo Alberto Garufi, che nel suo Catalogo conta per i documenti in questione 25 e 30 sottoscrittori, cfr.

C.A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di Santa Maria Nuova cit., docc. 20 e 21, p.14.

documento III.2 (Monreale 1177, marzo, X ind.)

documento III.1 (Monreale 1177, aprile, X ind.)

 

Secondo la leggenda la scelta era caduta su Cava dei Tirreni perché nel 1172 l’abate Benincasa aveva curato una grave malattia del re a Salerno; un’altra versione della stessa ci informa che il monaco Cristoforo di Cava era stato confessore e consigliere di Guglielmo I.

In ogni caso l’abbazia di Cava dei Tirreni possedeva già tre chiese-priorie in Sicilia –  San Nicola di Paternò, San Michele Arcangelo e San Pietro, entrambe a Petralia –  e la sua influenza sembrava essere ben radicata nel territorio già precedentemente la fondazione di Monreale.

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Cfr.

P. Guillaume, Essai historique sur l’abbaye de Cava, Cava dei Tirreni, Abbaye des RR. Peres Benedictins 1877.

Norbert Kamp, a cui si devono studi fondamentali sul rapporto tra Chiesa e Monarchia nel Mezzogiorno normanno-svevo, ha sottolineato la grande importanza dei monasteri benedettini meridionali come fornitori di vescovi per le nuove strutture diocesane latine volute dai normanni, cfr.

N. Kamp, Soziale Herkunft und geistlicher Bildungsweg der unteritalianischen Bischofe in normannisch-staufischer Zeit, in Le istituzioni ecclesiastiche della ‘societas christiana’ dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi, parrocchie. Atti della VIa Settimana Internazionale di Studio (Milano, 1-7 settembre 1974), Milano, Vita e Pensiero 1977, pp. 94-116.

La decisione di appoggiarsi a Cava – e quindi ad un modello spirituale direttamente ispirato da Cluny – piuttosto che a Montecassino, dove esisteva un forte partito antinormanno, si spiega soprattutto nel quadro della politica normanna che tendeva chiaramente ad escludere un’influenza religiosa esterna pericolosa o potenzialmente ostile3.

Nonostante Monreale fosse fin dall’inizio completamente indipendente da Cava, i rapporti con la casa madre erano probabilmente stretti, visto che due anni dopo la colonizzazione l’abate Benincasa visitava Santa Maria Nuova; è comunque difficile accertare quale fosse il reale ascendente esercitato dal modello monastico offerto da Cava dei Tirreni sulla vita del neonato monastero, ma quasi certo appare il carattere peculiare delle consuetudini religiose osservate dall’abbazia cavense, il cui contenuto è intravedibile in alcuni frammenti di regulae, consuetudines et instituta contenuti nel Chronicon Venusinum recentemente riscoperto da Hubert Houben.

Per queste considerazioni, cfr.

G. Vitolo, Il monachesimo latino nell’Italia meridionale (sec. XI-XII), in Benedictina, 25 (1988) 2, pp. 543-553.

 

Monreale nasceva come monastero il cui abate, come da regola benedettina, si poneva infra extraque come un vero dominus con poteri religiosi e giurisdizionali sulla propria comunità di sudditi4, ammantandosi di un titolo che era sinonimo di assoluta e fiera indipendenza, nonostante poi la legge monastica –  comprendendo il pericolo dell’autocrazia – imponesse ai capi cenobiali prescrizioni assolute nello svolgimento dei propri doveri e istituisse il limite del consilium fratrum,che restava organo onnipresente a garanzia dell’operato del superiore.

 

Il capitolo rappresentava, come corpo imperituro, la continuità nel governo della diocesi. Nei periodi di vacanza della sede episcopale esso costituiva, nel suo complesso o più normalmente tramite uno o due membri scelti del collegio, la massima autorità della chiesa locale, con larghe competenze in materia giudiziaria e beneficiale; il vescovo in carica era tenuto a richiederne il parere nell’esercizio della giustizia sui chierici, e ottenerne il consenso per atti che investivano l’amministrazione temporale della diocesi, cfr.

L. Thomassinus, Vetus et Nuova Ecclesiae disciplina circa beneficia et beneficiarios, 3 voll., Venezia, Typis Petri Savioni 1773, I, pp. 652-654; P. Torquebiau, Chapitres des chanoines, in Dictionnaire de Droit Canonique, III, Paris, Letouzey et Ane 1942, pp. 530-595:542.

 

Va inoltre sottolineato come, sia nella bolla di Alessandro III che nel diploma di fondazione di Guglielmo II, ampio spazio veniva riservato alla descrizione della centralità del potere dell’abate, dipendente dal re ma superiore a qualunque altra autorità ecclesiastica siciliana, fatta eccezione nella consacrazione della sua elezione per la quale, necessariamente, egli si sarebbe dovuto rivolgere ad un altro vescovo o arcivescovo: un piccolo prezzo da pagare, a fronte di privilegi quali la possibilità di congregare sinodi nelle sue terre, nominare o rimuovere monaci e chierici, edificare chiese o cappelle in qualunque luogo, esercitare diritto di sepoltura, ottenere in perpetuo la conferma di decime e possedimenti.

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documento II.1 (bolla di Alessandro III)

documento I.1 (diploma di fondazione di Guglielmo II)

 

 

 

Nel 1181 intanto, saliva al soglio papale Lucio III.

Al nuovo pontefice Guglielmo II chiedeva che l’arcivescovato da lui fondato fosse elevato a dignità metropolitica, sottoponendogli una questione particolarmente delicata: il fatto che a poca distanza dalla capitale, sede metropolitica, si creasse un’altra metropoli, sarebbe stato infatti un chiaro segnale politico, inteso a rafforzare la posizione del re in seno alla corte5.

Ma considerando che, in fondo, Monreale fosse già sede autonoma e dipendente direttamente dalla Santa Sede, il Papa – con quattro privilegi compilati a breve distanza l’uno dall’altro nel febbraio 1182 – dopo aver confermato all’abate di Monreale Guglielmo le donazioni, concessioni e immunità accordate al suo monastero dal re, gli concedeva lo ius metropolitico, l’uso e la dignità del pallio.

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Prima di questa data, non si può quindi affermare che Santa Maria Nuova di Monreale fosse formalmente un vescovado: è dunque curioso il fatto che, nel settembre 1176, nel rivolgersi all’abate Teobaldo, il vescovo di Agrigento Bartolomeo lo definisse «venerabilis episcopus Regalis Monasterii Sanctae Mariae Nuovae primus abbas».

In ogni caso lo ius metropolitico comportava che fuori della sua diocesi e nell’ambito della sua provincia ecclesiastica, il metropolita esercitasse alcune prerogative, come ad esempio quella di consacrare i vescovi suffraganei che gli dovevano prestare subiectionem e oboedientiam, cfr.

C.D. Fonseca, Particolarismo istituzionale e organizzazione ecclesiastica del Mezzogiorno medievale cit., p. 155.

 

documento II.5 (Velletri, 5 febbraio 1182)

I quattro privilegi di Lucio III sono:

Privilegi di confirmatio bonorum

 

 

 

 

 

 

 

La richiesta di Guglielmo va intesa alla luce di alcune considerazioni di ordine generale, relative al peso politico delle fondazioni religiose nel Mezzogiorno italiano dove, in mancanza di una vera e propria autonomia cittadina, l’istituzione di un vescovato poteva significare un influsso molto marcato negli orientamenti e negli sviluppi di un territorio.

A dimostrarlo, un semplice paragone tra il Regnum, dove infatti per l’epoca in questione si contano ben 145 episcopati, e l’area formata da Inghilterra, Galles e Normandia, di pari estensione, che contava invece soltanto 25 diocesi.

Per queste considerazioni, cfr.

H. Houben, Monachesimo e città nel Mezzogiorno normanno-svevo cit., p. 646.

 

Col diploma, Lucio III  assegnava inoltre alla chiesa di Santa Maria Nuova i diritti episcopali sul monastero di Maniaci, fondato dalla regina Margherita e appartenente fino a quel momento alla chiesa di Messina e la soggezione della diocesi di Catania.

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Veduta aerea dell'Abbazia di Maniace

 

documento II.3

la conferma di Clemente III, cfr. doc. II.17

 

 

L’estensione della giurisdizione sulle chiese minori implicava la creazione di una sorta di “periferia” monrealese, destinata a istituire una rete di figliolanza spirituale tra la diocesi e le chiese ad essa soggette.

Il sistema si agganciava allo sviluppo che in Europa, nello stesso periodo, vedeva impegnate le più importanti abbazie cluniacensi nell’assunzione di prerogative signorili nella gestione di un effettivo esercizio della cura d’anime; l’incoraggiamento di un sistema di configurazione del patrimonio monastico attraverso una maglia di rapporti con chiese dipendenti, distribuite anche in località geograficamente lontane, si inquadrava inoltre ancora una volta nell’ottica regia, che attraverso l’unitarietà della gestione ecclesiastica poteva contare su un ulteriore strumento di ancoraggio al territorio.

Da notare come nel documento compaia, per la prima volta, il nome di Monreale unitamente al titolo di arcivescovato: evidentemente, la località scelta da Guglielmo II per l’edificazione dell’abbazia non aveva nome tanto che, nella citata bolla di Alessandro III del 1174 si parla di un «monasterium (…) prope felicem urbem Panormi» o «super Sanctam Kiriacam».

Lo aveva già notato White, cfr.

L. T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna cit., p. 218.

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Nell’esporre quanto già attribuito da Guglielmo al monastero, Lucio sembrava pertanto esplicitare un preciso richiamo ad un avvio di abitato attorno ad esso, promosso dal re e finalizzato alla difesa, anche se nei fatti poi a questa data la grande abbazia appariva ancora isolata nel paesaggio, alla stregua di un grande santuario territoriale6.

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Il privilegio pontificio venne reiterato nel 1188 da Clemente III, aggiungendo la perpetua sottomissione all’arcivescovato di Monreale della chiesa di Siracusa, cui sottraeva il precedente diritto metropolitico e vietava l’uso delle insegne vescovili.

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documento II.9 (Laterano, 19 ottobre 1188)

 

 

Delle altre bolle contenute nel  Liber ed emanate da Clemente III, su un totale di nove, tre vertono tutte sull’obbedienza che il Capitolo di Siracusa avrebbe dovuto prestare all’arcidiocesi di Monreale, nella persona dell’abate Fra’ Guglielmo:

Le restanti quattro invece ribadiscono le concessioni e i privilegi approvate dai predecessori del Papa:

L’abbazia di Monreale diventava dunque anche arcivescovato con funzioni metropolitiche: situazione particolare e non esente da posteriori contraddizioni7, che l’accomunava a due altre diocesi siciliane – quella di Catania e quella di Lipari-Patti – nelle quali la comunità monastica si ritrovava ad assumere le funzioni di capitolo cattedrale e l’abate era anche vescovo8.

Significativo ad esempio, benchè chiaramente non compreso all’interno del cartulario, un diploma di Gregorio IX del 1234 che testimonia l’immediato e certamente non previsto intervento del Papa quando, alla morte dell’arcivescovo Caro, i benedettini avessero provato ad eleggere come suo successore un monaco di Montecassino, cfr.

C.A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di S. Maria Nuova in Monreale cit., p. 234, doc. 42.

Avocando a sé la nomina, il Papa mostrava al re la propria ostilità e la volontà di controllare il giovane e ricco arcivescovato ponendo contemporaneamente le premesse per un contrasto mai risolto tra monaci ed arcivescovo.

L’ingerenza pontificia nell’assegnazione di un valore istituzionale a Santa Maria Nuova non implicava però una diminuzione del ruolo giocato in questa iniziativa dall’autorità monarchica: al re restava infatti lo ius patronatus sull’elezione dell’abate, e quest’ultimo – esattamente come un qualsiasi feudatario – era obbligato a prestargli giuramento di fedeltà, uniformandosi alle leggi generali del Regno di Sicilia nell’esercizio dei propri poteri civili e giudiziari.

La familiarità e l’utilizzazione da parte del Papato della strumentazione feudale, anche dal punto di vista esclusivamente formale, sono ormai dati accettati dalla moderna storiografia: a titolo esemplificativo, si vedano ad esempio

O. Hageneder, Il sole e la luna. Papato, impero e regni nella teoria e nella prassi dei secoli XII e XIII cit. e C. Violante, Chiesa feudale e riforme in Occidente (secc. X-XII). Introduzione a un tema storiografico, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo 1999 (Studi, 9).

 

Bibliografia sulla Legazia apostolica

Bibliografia su Impero e Papato

Il privilegio di esercitar giustizia

 

 

 

 

 

 

Monreale e il suo patrimonio quindi, nonostante la dipendenza formale dal Papa, restavano profondamente incardinati nell’ottica del demanio regio: non va anzi sottovalutato lo stretto vincolo ideologico che, da questo momento in poi, si sarebbe instaurato tra monarchia ed episcopato, il cui nesso sarebbe stato in ragione diretta dell’impossibilità di trasmettere il vescovato in forma dinastica offrendo quindi al re ampie possibilità di intervento in materia di successione.

 

 

Ma è innegabile che su questa fondazione eccezionale le due maggiori autorità dell’epoca avessero ingaggiato una sorta di guerra fredda, le cui linee generali sono rintracciabili nella produzione delle rispettive cancellerie dove evidente emerge – in entrambi i casi – la volontà di stabilire relazioni non solo in merito al tradizionale rapporto religioso di protezione e protettorato, ma anche in ambito feudale: sicchè, mentre nelle proprie scritture diplomatiche la Sede Apostolica sembrava studiare un formulario atto a mostrare il desiderio di porsi come superiore istanza di mediazione, la documentazione sovrana rispondeva portando al massimo sviluppo quella tendenza, operante sul tutto il territorio siciliano, ad utilizzare le forme feudali per sancire rapporti eminenti di alleanza politica e di generica superiorità.

Tuttavia, nel caso di Monreale, la politica papale adottò sicuramente una tendenza diversa, valorizzando nella propria produzione cancelleresca per la diocesi la commistione tra linguaggio feudale e linguaggio religioso, che nell’ambivalenza di termini come fidelitas e fideles, meglio esprimeva la concezione della suprema potestà della Chiesa romana. Sarebbe, chiaramente, lecito chiedersi quale ruolo sia stato attribuito all’affermazione in forma vassallatica della superiorità pontificia su Monreale, dove l’impossibilità di operare un sistematico controllo non avrebbe impedito al Papato il riconoscimento, nella fedeltà giurata, di un efficace strumento di sanzione: la questione, potrebbe forse anche essere la chiave per comprendere la custodia presso la Biblioteca Apostolica Vaticana della copia del Liber privilegiorum oggetto di questo studio.

Sulla concezione del rapporto papato-vescovi messo a punto da Innocenzo III, cfr.

M. Maccarrone, Studi su Innocenzo III, Roma-Padova, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo 1972 (Istituto storico italiano per il Medio Evo, 25), pp. 223-337 e Id., Nuovi studi su Innocenzo III, a cura di R. Lambertini, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medioevo 1984, pp. 81-195.

Fondamentali anche K. Pennington, Pope and bishops. The papal monarchy in the Twelfth and Thirteenth centuries, Philadelphia, University of Pennsylvania 1984 (Middle Ages Series); W. Ullmann, The Growth of Papal Government in the Middle Ages, London, Meuthen 1962.

 

La prematura morte di Guglielmo II apriva però un periodo difficile per la neonata diocesi, la cui missione spirituale passava immediatamente in secondo piano a fronte delle burrascose vicende militari che condizionavano fortemente la vita nel Regno di Sicilia e, conseguentemente, dell’istituzione religiosa: fondamentale diventava allora la protectio pontificia, la necessità cioè, di trovare appoggio in un sistema gerarchizzato e culminante in Roma, che in Innocenzo III trovava il suo campione più significativo.

Come in altri campi, anche nelle vicende del potere temporale e dei rapporti feudali il pontificato di Innocenzo rappresentava una fase di eccezionale irrobustimento delle prerogative pontificie in relazione ai vescovati, che nell’ottica papale erano ora più che mai un tramite a livello locale per il progetto di tutela dei diritti ecclesiastici definiti dalla politica romana, anche in ragione dell’obiettivo, palesatosi all’avvento di Federico II sul trono, di ridurre le prerogative in ambito ecclesiastico di una corona ormai imperiale.

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Registro di Innocenzo III
relativo agli anni 1198 - 1200
ASV, Reg. Vat. 5, f. 72r (particolare)

La riflessione sull’auctoritas del Papa aveva conosciuto un’incessante elaborazione e un’accelerazione a partire dagli ultimi decenni del XII secolo, ma con Innocenzo III riceveva un’attuazione pratica fino allora impensata, tanto che – con la decretale Per Venerabilem, il Papa poteva affermare a pieno titolo il diritto della Santa Sede di esaminare l’Imperatore eletto prima di procedere alla nomina e all’incoronazione imperiale9.

É questo il motivo per cui anche questo Papa, oltre a confermare i privilegi dati dai suoi predecessori, si preoccupava di salvaguardare i diritti e i possedimenti della Chiesa monrealese, definendola  filiam specialem di Santa Romana Chiesa.

 

documento II.9

documento II.20

 

 

 

 

Lo esemplifica il breve Possessiones ad mensam tuam, con cui Innocenzo intimava all’arcivescovo di Santa Maria Nuova – che aveva ceduto la chiesa di San Clemente a Gerardo Teutonico e quella del San Sepolcro di Messina a Falcone Canonico – di non concedere mai in beneficio i casali e le chiese spettanti alla sua diocesi, ordinandone pertanto la restituzione.

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Innocenzo III fu, tra l’altro, l’ultimo grande Papa ad occuparsi attivamente delle sorti dell’arcidiocesi di Monreale.

Dal fondo diplomatico di Santa Maria Nuova si apprende infatti che egli intervenne altre quattro volte in favore della chiesa, con tre brevi dell’anno 1198 e una lettera del 1209 che però non trovano spazio tra le pagine del Liber Privilegiorum.

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I documenti in questione sono:

  • Roma (1198), 21 Aprile, ind. I: Innocenzo III con breve Significantibus venerabili fratre nostro, avendo inteso che Maymmanus notaro non voleva rendere il tenimento di Mauricio spettante alla chiesa di Santa Maria Nuova, ordina che il capitolo di Brindisi convochi le parti e giudichi, cfr.C.A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di Santa Maria Nuova cit., doc. 70, p. 35.

  • Roma (1198), 4 luglio, ind. I: Innocenzo III con breve Cum a nobis petitur conferma che la chiesa di San Mauro con le decime,  possedimenti e tutti i diritti appartengono all’arcivescovo di Monreale, Id., doc. 74 p. 36.

  • Laterano 1198, 30 ottobre, Ind. II: Innocenzo III, con breve Dilecti filii fratres ordina all’arcivescovo di Reggio e al vescovo di Cefalù perché la chiesa di San Sepolcro et alia, che erano state inconsultamente alienate dal predecessore di Caro, ritornino in potere dell’arcivescovo di Monreale, e che Falcone prete fosse espulso dal loro convento e condannato, Id., doc. 77 p. 37.

  • Monreale 1209: Gerardo cardinal delegato del regno di Sicilia, in nome di Innocenzo III prende sotto la protezione pontificia i frati del monastero di Monreale esortandoli che, sopite le discordie, conservino tra loro il vincolo della carità, cfr. C.A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di Santa Maria Nuova cit., doc. 84, p. 40.

Dopo di lui, e superati gli anni caldi del governo federiciano, l’interessamento della Santa Sede nei confronti dell’abbazia siciliana sembra diventare blando, attestandosi su posizioni di intervento neutrali, documentate nel cartulario da privilegi che si limitano a confermare le donazioni preesistenti, a concedere all’arcivescovo la facoltà di portare il vessillo durante le visite pastorali o ad appoggiarne l’elezione.

Ad esempio

  • il documento II.21 (Laterano 1221, 4 novembre, X ind.), con cui Onorio III approva e conferma la donazione alla chiesa di Santa Maria Nuova di Monreale di case, possedimenti e altri beni concessegli da Matteo, notaio di Brindisi.

  • il documento II.22 dato da Clemente IV a Viterbo, il 17 settembre del 1268 (XII ind.), destinato all’arcivescovo  Trasmondo

  • il documento IV.23, datato S. Ciriaco in Monte Aureo, 1305, XIII kal. marzo, col quale Clemente V, rispondendo alla petizione di Arnaldo di Rassach, ne appoggiava l’elezione ad arcivescovo di Monreale e lo assolveva da qualunque scomunica o sentenza contro di lui, al fine di favorirne il governo, che era stato diffamato.

Curiosamente, pur essendo un documento pontificio, il testo viene inserito nella Pars IV del Liber Privilegiorum, tendenzialmente destinata ad ospitare tutti gli atti di compravendita o di regolamentazione di rapporti tra l’arcidiocesi monrealese e soggetti privati.

Ma, dal momento che in quest’ultima sezione del cartulario sono stati inseriti anche i documenti più tardi, non sarebbe forse errato ipotizzare che l’arcivescovo Arnaldo, nell’ordinare la stesura del codice, abbia posteriormente deciso di inserirvi un diploma che ne attestasse la legittimità di governo, probabilmente a fronte dei frequenti scontri col capitolo dei monaci.

 

 

E questo nonostante il fatto che, dall’arcivescovo Caro in poi, e per i circa quaranta anni del suo governo, Monreale avrebbe dovuto affrontare notevoli difficoltà, vivendo alterne vicende in relazione alle più ampie sorti politiche del Regno.

 

 

 

1  G.M. Cantarella, La frontiera della crociata: i Normanni del Sud, in Il concilio di Piacenza e le Crociate, Piacenza, Piacenza, Tip.Le.Co. 1996 (Bibliotheca. Fondazione di Piacenza e Vigevano), pp. 225- 246.

2  cfr. Liber censuum de l’Eglise Romaine, publié par P. Fabre, Paris, De Boccard 1905 (Bibliotheque des Ecoles Francaises d’Athenes et de Rome, 2. ser. 6).

3 cfr. P. Grossi, Le abbazie benedettine nell’alto medioevo italiano cit., p. 55.

4  cfr. L.T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna cit., p. 92.  

5 «Come capo religioso, amministrativo e politico, il monastero gli era veramente mancipato e il suo mancipio non conosceva quasi limiti», P. Grossi, Le abbazie benedettine nell’alto medioevo italiano cit., p. 6.

6 Cfr. G. Schirò, Monreale: città di re e vescovi, in L’anno di Guglielmo II. 1189-1989, Palermo, Dorica stampa 1989, pp. 43-59:43.

7 Cfr. A.I. Lima, Monreale (Palermo) Palermo, Flaccovio 1991, p. 12.

8 Cfr. H. Houben, Monachesimo e città nel Mezzogiorno normanno-svevo cit., p. 648.

9 Oltre a ciò «i re esercitavano anche poteri giurisdizionali in materia di disciplina ecclesiastica non solo in virtù della presunta Legazia Apostolica ma, soprattutto, in forza del diritto di fondazione o di patronato», G. Schirò, Monreale. Territorio, popolo e prelati dai normanni ad oggi cit., p. 27.