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Processi imitativi

Il Liber nel panorama delle scritture pratiche italiane

 

Se considerato all’interno del panorama italiano, quando non addirittura europeo, il Liber Privilegiorum di Monreale arriva relativamente in ritardo rispetto ai similari prodotti delle numerose istituzioni, laiche ed ecclesiastiche, disseminate lungo la penisola.

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In Italia, il passaggio dalla documentazione sciolta alla formazione di libri di documenti, percepiti come strumenti versatili e pratici in relazione alle esigenze delle amministrazioni cittadine, sembra essere infatti iniziato già durante i primi decenni del Duecento, per poi assestarsi in forme consolidate nel secolo successivo.

A partire da quest’epoca, la razionalità della forma-libro pare essersi legata ad un generale fenomeno di riorganizzazione – probabile conseguenza di una ripresa economica e politica – del potere sul territorio, dando origine ad una cultura dello scritto in grado di stabilizzarsi su alcuni modelli uniformi e di trovare una collocazione valoriale nella società, seguendo una parabola che sfocerà, poco più tardi, nelle moderne forme europee di redazione del diritto e dell’amministrazione, di cui la statuitazione rappresenterà il contributo più interessante.

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Recente ma valida sembra essere l’acquisizione per cui il passaggio dall’uso di documenti singoli, prodotti per lo più attraverso la tecnica e l’auctoritas notarile, a quello di organismi seriali in cui i singoli atti sono insinuati in una struttura compatta, abbia significato una fase innovativa e matura nel rapporto tra istituzione e documento, caratterizzata dalla riflessione ed elaborazione di strumenti più adeguati alle nuove esigenze giuridiche e amministrative.

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Considerazioni leggibili un po’ ovunque, ma ben espresse in G.G. Fissore, L’edizione dei libri iurium cit., pp. 438-39.

 

Che la prassi di registrazione degli atti su volume abbia trovato un’espressione compatta nell’ambito delle esperienze comunali italiane, dando origine alla tipologia dei libri iurium, è cosa nota. Sfumate restano invece le tappe relative all’effettiva nascita e diffusione del fenomeno, e il dibattito sull’eventuale derivazione del genere dall’ambiente monastico è ancora in corso.

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In particolare, analizzando le origini dei libri iurium comunali, Antonella Rovere ha proposto un’influenza diretta dai cartulari monastici d’oltralpe1 inquadrando  l’avvenimento all’interno di una sostanziale continuità tra le vicende delle origini e dello sviluppo dell’organizzazione documentaria comunale con manifestazioni anteriori, collegabili alla sfera d’influenza e di controllo del potere vescovile, che avrebbe rappresentato  «un retroterra vasto e composito di presenze e d’influenze più o meno stabilizzate, entro le quali, attraverso un gioco dialettico di conservazione-trasformazione, andò definendosi a livello formale la nuova istituzione».

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Dello stesso avviso Gian Giacomo Fissore il quale,  citando il caso della documentazione comunale di Asti, ne ha sottolineato lo stretto legame con la cancelleria vescovile che – tra IX e X secolo e in concomitanza con un progressivo assestamento e ampliamento dell’organizzazione patrimoniale e del potere giurisdizionale della diocesi – aveva compiuto un’importante opera di razionalizzazione delle proprie scritture espressa mediante un originale intervento sugli schemi documentari tradizionali, ispirando le successive iniziative del comune2.

Più netta ancora Cinzia Cardinali:

Il cartulario fu invenzione monastica e, in generale, ecclesiastica,

C. Cardinali, Il cartulario di S. Giuliana di Perugia, in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 92 (1995), pp. 43-128.

 

Pareri contrari sono stati invece espressi da Paolo Cammarosano, che osservando le differenze tecniche e il diverso rapporto con la documentazione originale tra gli esemplari prodotti dalle cancellerie ecclesiastiche e quelle comunali ha reputato poco plausibile un’eventuale discendenza dei secondi dai primi, e Attilio Bartoli Langeli che, in considerazione della durevole fortuna della forma-rotolo nell’uso documentale ecclesiastico, ha invece proposto una prospettiva di inquadramento unitaria, «una spinta verso la forma-libro come contenitore di documentazione»3.

Al di là delle perplessità sollevate, sembra comunque ormai fuor di dubbio l’esistenza di rapporti – di confronto, sollecitazione, modellizzazione e superamento – tra la tradizione monastica e vescovile e la ben più rilevante, almeno dal punto di vista quantitativo, produzione comunale.

Cronologicamente è possibile retrocedere al IX secolo per alcuni esemplari facenti capo all’area monastica tedesca, ma un’effettiva normalizzazione si attua solo tra XI e XII secolo, dando luogo ad una produzione ampia, comune ai grandi monasteri ed episcopati della Francia e delle Isole Britanniche e, dal secolo XIII, della Penisola Iberica.

È la manifestazione di un’elaborazione documentaria basata su libri e quaderni per la quale – non a sproposito – Laura Baietto ha parlato di un vero e proprio sistema

la cui formazione è strettamente legata agli sviluppi politici e istituzionali dell’ente di riferimento, i quali agiscono come stimolo per la sperimentazione e creazione di nuove forme documentarie e contemporaneamente trovano in questa strumentazione un mezzo di controllo e una base di ideologia politica,

L. Baietto, Scrittura e politica. Il sistema documentario dei comuni piemontesi nella prima metà del secolo XIII, in Bollettino storico-bibliografico subalpino, 98/1 (2000), pp. 105-165.

Considerazioni simili si ritrovano, per l’area inglese, in M.T. Clanchy, From memory to written record. England 1066-1307, London, Edward Arnold 1979.

 

Se le pratiche legate all’utilizzo dei cartulari trovano in Inghilterra l’area di maggiore diffusione, in Italia il fenomeno è più circoscritto anche se – guardando alle più recenti indagini – la sua portata appare meno ridotta e sporadica di quanto ipotizzato in passato.

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Per le sole isole britanniche Davis ha repertoriato circa 1.344 codici, cfr.

G.R.C. Davis, Medieval cartulaires of Great Britain cit.

 

Anche l’andamento cronologico nella penisola segue gli sviluppi europei: se il prodotto più arretrato, assimilabile in senso stretto alla coeva produzione monastica d’oltralpe delle cronache-cartulario, è rappresentato dal Regestum di Gregorio da Catino prodotto a Farfa nell’XI secolo, è comunque possibile datare entro la prima metà del XIII secolo numerosi cartulari monastici della penisola, con una distribuzione geografica omogenea.

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L'abbazia di Farfa

Entro questa data si collocano ad esempio il cartulario del monastero di Tremiti, anteriore al 1237 e scritto in beneventana cassinese, quelli di San Matteo di Sculgola in Capitanata (1177-1239), di San Salvatore di Fontebona e di San Martino al Cimino e ancora, dei monasteri genovesi di San Siro e Santo Stefano e della certosa di Pesio; appena oltre la metà del secolo sono invece i cartulari di Sant’Agata di Padova, di Sant’Andrea di Mantova e di San Giuliana di Perugia, nonché il monumentale Libro Biscia di San Merculiare di Forlì.

In ambito laico, le attestazioni più note e numerose si concentrano nell’area dell’autonomia municipale, e in particolare nei centri urbani del Piemonte, della Lombardia, dell’Emilia Romagna, della Liguria e della Toscana, con estensione sino a Viterbo4: l’eredità più cospicua è però indubbiamente presentata da Genova che, in una linea di recupero della propria memoria storica non aliena da interessi spiccatamente politici ed economici, avvia già dal 1122 l’iniziativa di conservare e tutelare i propri titoli giuridici in materia di possesso, giurisdizione, regolamentazione di rapporti tra pubblico e privato, relazioni con l’esterno, attraverso la redazione di registri di privilegi5.

Smentirebbe la diretta influenza ecclesiastica – a meno di non ipotizzare un influsso d’oltralpe – il fatto che le più antiche raccolte comunali italiane precedano nel tempo le analoghe compilazioni monastiche: si pensi al Registrum Magnum di Piacenza, databile tra 1184 e 1198.

Su questo importante codice, v.

Il Registrum Magnum, immagine della civiltà comunale piacentina. Catalogo della mostra, rassegna di documenti esemplari da servire a ricerche storiche in occasione della pubblicazione del Liber Iurium del Comune, a cura di P. Castignoli, Piacenza, Cassa di Risparmio 1985.

Per un’introduzione storica, e la relativa edizione critica:

Il Registrum magnum del Comune di Piacenza, a cura di E. Falconi e R. Peveri, 5 voll., Milano, A. Giuffrè 1984-1997.

Ma anche al codice A e al registro Iesus di Cremona, dell’ultimo quarto del XII, che porrebbero l’area padano-veneta in posizione di avanguardia cronologica6; ma anche alle più cospicue redazioni su registro collocabili tutte agli inizi del XIII secolo: il Caleffo Vecchio di Siena (1203), i cartari di Osimo (1208), Assisi (1209), Alba (1215), Firenze (1216), Modena (1218), Città di Castello (1223), Ivrea (1225), Reggio Emilia (1228), Imola (1239)7.

Sul Caleffo Vecchio: il primo volume è stato edito nel 1931 da G. Cecchini, cfr.

Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini, 5 voll., I, Siena, L. S. Olschki 1931.

Sul registro v. anche la recente introduzione di P. Cammarosano, Tradizione documentaria e storia cittadina. Introduzione al Caleffo vecchio del Comune di Siena, Siena, Accademia senese degli Intronati 1988.

 

Rispetto al panorama italiano il Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova di Monreale sembra dunque essere il risultato di una prassi già acquisita e pienamente formata. Ciò non toglie tuttavia che sia tra i primi cartulari monastici composti in Sicilia, e tra i testimoni cronologicamente più arretrati dell’Italia Meridionale.

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Una pagina del Chronicon Casauriense

Nell’area a sud di Roma, storicamente, fortuna maggiore  avevano infatti incontrano gli esemplari delle cronache con documenti, sulla scia del già citato Regestum Farfense: testi come il Chronicon Casauriense redatto dal monaco Giovanni di Berardo, la cronaca del monaco Alessandro di San Bartolomeo in Carpineto8, il Chronicon Vulturnense scritto dal monaco Giovanni negli anni 1110-113010 , la Chronica Casinensis di Leo Marsicano.

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Cfr. Leo Marsicanus, Die Chronik von Montecassino, herausgegeben H. Hoffmann, Hannover, Hahnsche Buchhandlung 1980 (Monumenta Germaniae historica. Scriptores, 34).

Ma per la variegata documentazione prodotta a Montecassino v. M. Dell’Omo, Documentazione tardomedievale a Montecassino: aspetti della produzione, conservazione e tipologia delle fonti, in Libro, scrittura, documento della civiltà monastica e conventuale nel basso  cit., pp. 307-340.

 

Il modello, caratterizzato dall’uso di insinuazioni documentarie in opere relative alla storia delle abbazie, era già largamente attestato nella produzione storiografica ecclesiastica dei secoli precedenti l’età comunale, dando origine ad una tipologia di cronachistica a doppio binario, racconto e insieme di documenti a valore corroborativo.

Il genere, che ebbe poi lunga vita, trovò particolare diffusione nei territori interessati dal passaggio del confine meridionale del Regnum Italiae e in continua relazione con l’Impero e il Papato dalla fine dell’XI secolo, quando – con la conquista normanna e il conseguente spostamento a nord della frontiera – le maggiori comunità monastiche iniziarono ad organizzare razionalmente la storia delle proprie origini.  

 

 

 

Una lettera miniata del Chronicon Vulturnense

La ricostruzione della genesi e delle vicende delle comunità monastiche, fondendo il racconto storico alla documentazione conservata negli archivi, è assimilabile per finalità alla semplice trascrizione in registro dei diplomi compiuta nel liber monrealese.

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Inserendo infatti nella narrazione la trascrizione dei documenti probativi di diritti e possedimenti, i monaci-cronisti accostavano ad una intenzione narrativa la volontà di preservare e difendere le prerogative della propria chiesa.

Ma le cronache-cartulario rappresentano un momento alto della cultura ecclesiastica: sono un’operazione  storiografica e letteraria, il prodotto di numerosi ripensamenti e lunghe gestazioni in cui l’obiettivo della narrazione era quello di corroborare e contestualizzare il tenore dei munimina trascritti. Sarebbe dunque azzardato indicare in esse il modello del liber privilegiorum siciliano, presieduto da una logica redazionale esattamente inversa, in cui sono i documenti ad essere piegati a un intento discorsivo. 

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Struttura, caratteristiche e contenuti del Liber

 

 

Ma il promotore del cartulario di Monreale, Arnaldo di Rassach, prima di essere un ecclesiastico era stato un uomo di cultura.

Non è escludibile che durante la sua esperienza in Spagna, e soprattutto a Xativa, non avesse maturato conoscenze e interessi archivistici, e che il successivo incarico di tesoriere per la Curia Regia di Federico III non gli avessero fatto conoscere pratiche di registrazione e conservazione già in uso presso le più importanti cancellerie europee.

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In Sicilia inoltre, esisteva già il precedente fornito dal Libellus de successione pontificum Agrigenti, datato dal Garufi tra il 1250 e il 1260: non è improbabile che l’arcivescovo di Monreale ne abbia seguito l’esempio, adattando alle proprie esigenze lo schema del codice prodotto dalla limitrofa diocesi agrigentina.

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L’ipotesi di un’origine poligenetica e spontanea, sviluppata da esigenze di base comuni – spesso formulata per esemplari isolati di questo genere – non pare conciliarsi con il caso monrealese.

Appare semmai più adatta l’idea che tale testo sia nato in conseguenza di una pratica di governo fortemente amministrativa, intrecciandosi alla volontà di esprimere anche attraverso la conservazione dei propri privilegi su volume una coscienza politica di forza e autonomia: sicchè, il diretto collegamento stabilitosi, da un lato, con l’organizzazione archivistica e l’avanzamento di una cultura cancelleresca, dall’altro con una volontà di controllo tradotta in scrittura, collocherebbe comunque la formazione del Liber Privilegiorum Sanctae Montis Regalis Ecclesiae su un piano alto della vicenda storica della diocesi.

La regolamentazione giuridica positiva delle procedure di controllo e degli atti amministrativi, uniti ad un accresciuto uso della scrittura nella struttura organizzativa, sono stati inclusi da Melville tra gli aspetti giuridicamente fondanti della vita di un monastero, insieme all’utilizzo del diritto e di organismi collegiali finalizzati all’esercizio del potere legislativo e giudiziario, cfr.

G. Melville, “Diversa sunt monasteria et diversa habent institutiones”. Aspetti delle molteplici forme organizzative dei religiosi nel Medioevo, in Chiesa e società in Sicilia. I secoli XII-XVI, a cura di G. Zito, Torino, SEI 1995. 

Rispetto al cartulario monrealese, tardi sono i contributi forniti da analoghe istituzioni ecclesiastiche siciliane.

 

Alla metà del XVI secolo risale ad esempio il libro rosso delle Chiese Matrici di Calascibetta, che documenta non solo lo stato dei luoghi e talune condizioni di vita dei canonici, ma anche la consistenza e l’articolazione del patrimonio di cui erano dotati sia le Chiese Matrici sia l’annesso Canonicato.

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Ancora più tardi sono il codice conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana e intitolato Bolle e Diplomi di ogni genere latini e greci per l’archimandrato di Messina dell’ordine di San Basilio, dal secolo XI all’anno 153611 e il manoscritto in folio dal titolo Monumenta Ecclesiae Messanensis collecta a D. Antonino Amico Messanensi Ecclesiae Panormitana e canonico, custodito presso la Biblioteca Comunale di Palermo12, probabilmente redatti entrambi nel XVII secolo da Antonio Amico.

L’ipotesi è di Rosario Starabba. Lo studioso ha rilevato che il compilatore della raccolta dell’Archimandrato ha spesso utilizzato anche atti desunti dagli archivi pubblici, e ne ha sempre indicato la provenienza, seguendo un modus operandi tipico dell’Amico nelle sue raccolte,

cfr. R. Starabba, Di un codice vaticano contenente i privilegi dell’archimandrato di Messina, estr. di Archivio Storico Siciliano, 12 (1888), fasc. IV, Palermo 1888.

 

Prossimo al Liber Privilegiorum di Monreale, tanto da poter azzardare un collegamento diretto tra i due, è invece il Rollus Rubeus della Chiesa di Cefalù.

Va però rilevato che, nonostante l’indiscusso valore per la storia della diocesi di Cefalù e del territorio ad essa soggetto, il rollus è un prodotto archivistico tecnicamente inferiore rispetto al cartulario monrealese, essendo privo di una struttura coerente e definita.

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Anche sul fronte laico le numerose testimonianze di scritture pratiche su registro sono documentate in Sicilia solo a partire dal XIV secolo.

Un sommario censimento dimostra che alla fine del Trecento, complice la vigorosa ripresa di un percorso di autonomia civile avviato agli inizi del secolo e solo parzialmente interrotto dalla crisi del potere regio, si assiste ad una rapida crescita di interesse, da parte delle magistrature cittadine, per l’introduzione e l’utilizzo di processi di scritturazione delle consuetudini locali, finalizzati a legittimare uno spazio normativo indipendente dal potere regio, incrementato nel 1392 dall’arrivo nell’isola dei Martini.

La fioritura dei registri cittadini – che permettono di ricostruire le serie di mediazioni e contrapposizioni locali alla base delle concessioni del sovrano – attesta la vitalità delle comunità siciliane e il valore da queste attribuito alla registrazione della documentazione relativa ai diritti acquisiti o conquistati.

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È l’epoca delle Consuetudines terre Platee e delle pandette di Palermo.

Pare poi che sull’esempio palermitano si siano successivamente regolate le maggiori città e terre demaniali di Sicilia, ad esclusione di Catania e Siracusa: la prima perché al tempo della riforma delle pandette del 1312 e sino al 1315 era stata sotto il dominio di Ferrante di Majorca, la seconda in quanto città della Camera reginale.

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Ancora posteriore è poi l’adozione dei libri rossi nelle più importanti città siciliane: se il Libro Rosso della città di Mazara dovrebbe risalire prima metà del Cinquecento, al XVII secolo vanno ascritti il libro di privilegi di Erice, i cartulari del Capitolo e dello Studium di Catania, il Libro di fodera nera di Acireale; addirittura databili al XVIII secolo sono il Compendio de’ Privilegi della Città di Messina e la copia del Libro Rosso della città di Salemi.

 

Il manoscritto originale è perduto; ne resta una copia seicentesca di 322 cc., contenente 113 documenti che vanno dal 1422 al 1838, cfr.

T. Papandrea, Una copia del Seicento del Liber Antiquus Privilegiorum di Acireale, in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, 10 (1913), pp. 389-413.

 

Ma è chiaro che in casi siffatti siamo in presenza di compilazioni prodotte con finalità ben diverse da quelle del Liber Privilegiorum di Monreale: assente l’interesse archivistico, questi volumi rendono infatti nota la volontà delle universitates di riappropriarsi di tutte quelle prerogative e immunità precedentemente esercitati, nel tentativo di riaffermare un corpo di privilegi vigente in epoca angioina attraverso il quale ricostruire una fiscalità e un’amministrazione a carattere locale.

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Il breve sondaggio compiuto sul territorio regionale dimostra dunque chiaramente l’originalità e l’importanza della composizione monrealese.

Che se non un modello, è sicuramente un apripista per analoghe esperienze cancelleresche in Sicilia, nella misura in cui in esso si riconosca non soltanto un’espressione ideale di tutela dei diritti e deposito della memoria, ma soprattutto la capacità di elaborare sulla pagina scritta un preciso programma politico e sociale.

 

 

1 Cfr. A. Rovere, I libri iurium delle città italiane cit., pp. 79-80.

2  Cfr. G.G. Fissore, La diplomatica del documento comunale fra notariato e cancelleria. Gli atti del Comune di Asti e la loro collocazione nel quadro dei rapporti fra notai e potere, in Studi Medievali, 18 (1978), pp. 211-244:212 e 215.

3  Cfr. P. Cammarosano, I “libri iurium” e la memoria storica delle città comunali cit.; A. Bartoli Langeli, Le fonti per la storia di un comune, in Società e istituzioni dell’Italia comunale: l’esempio di Perugia (secc. XII-XIV). Congresso Storico Internazionale (Perugia, 6-9 novembre 1985), 2 voll., Perugia, Deputazione di storia patria per l’Umbria 1988, I pp. 5-21:16.

4 Cfr. E. Falconi, In margine all’edizione del Registrum Magnum di Piacenza: riflessioni e proposte per una ricerca sui libri iurium comunali, in Bollettino Storico Piacentino, 79 (1984), pp. 1-20:2. Una sommaria indagine della Rovere ha permesso di fornire, per il Nord Italia, una lista di circa quaranta comuni in cui è attestato l’uso di questa prassi documentaria, cfr. A. Rovere, I “libri iurium” dell’Italia comunale cit., p. 162.

5 Cfr. C.D. Fonseca, I libri iurium della Repubblica di GeNuova e lo spirito cittadino, in Nuova Rivista Storica, 77 (1993), pp. 431-436.

6 Cfr. A. Rovere, I “libri iurium” dell’Italia comunale cit., p. 188.

7 Cfr. Libro Rosso. Il “registrum comunis Ymole” del 1239 con addizioni al 1269, a cura di T. Lazzarini, Imola, La Mandragora 2005 (Repertori, 3).

8 Cfr. F. Magistrale, Per una nuova edizione della cronaca del monastero di San Bartolomeo da Carpineto, in Studi in onore di Gabriele Pepe, Bari, Dedalo 1969, pp. 289-300.

9 Cfr. Chronicon Vulturnense del monaco Giovanni, a cura di V. Federici, 3 v., Roma, Tipografia del Senato 1929-33 (Fonti per la Storia d’Italia).

10 BAV, cod. Vat. Lat. 8201; contiene 45 bolle pontificie, 22 diplomi reali in greco (il primo è del 1094), carte sveve e aragonesi, lettere viceregie, 43 atti notarili in greco (il primo è del 1202), 155 sunti notarili in latino.

11 Manoscritto in folio con segnatura Qq H.4; che contiene le copie di oltre 300 documenti, cfr. I diplomi della Cattedrale di Messina, raccolti da Antonino Amico, pubblicati da un codice della Biblioteca Comunale di Palermo ed illustrati da Rosario Starabba, a cura di R. Starabba, Palermo, Tip. M. Amenta 1888 (Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. I, 1).