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I testimoni del Liber privilegiorum

Nel 1978 Arnold Esch, in una magistrale lezione inaugurale tenuta a Berna, prendeva in considerazione il ruolo giocato dal caso nella sopravvivenza delle fonti scritte, per affermare che la tradizione è quello che lo storico ha materialmente a disposizione, tanto o poco che sia, e che su quel patrimonio soltanto si può contare. Da questa valida considerazione discendeva un corollario fondamentale: i modi della sopravvivenza dei testi e quelli della scomparsa degli altri, o dei loro parzialissimi e avventurosi ritrovamenti, costituiscono argomenti degni di indagine1.

Nel campo della ricerca – tanto quella scientifica e sociale quanto quella storica e, in generale, in tutti i settori in cui si richieda un procedimento d’indagine – è quindi assodato il ruolo giocato dal caso, inteso non come mero “colpo di fortuna”ma come fattore condizionato dalla vigile sensibilità e ricettività del ricercatore.

Anche nel caso del Liber Privilegiorum della Chiesa di Monreale – di cui la tradizione storiografica locale ha tramandato l’esistenza di quattro copie – è stato dunque il rapporto con l’ignoto, l’assoluta casualità con cui è stato possibile rintracciare un testo essenziale alla ricerca, conservato non dove sarebbe dovuto essere ma altrove, a innescare relazioni feconde e imprimere una svolta originale al lavoro.

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Tralasciando il codice Vat.Lat. 3880, di cui si fornisce un’analisi puntuale nel paragrafo successivo, e un testimone disperso – ma forse rintracciabile tra i beni di Pietro Cardona, canonico della chiesa di Lérida e procuratore dell’arcivescovo di Monreale Giovanni Borgia, che in un inventario personale del 1484 menzionava un «librum unum privilegiorum Montis Regalis cum copertis rubeis»2 – il testimone più antico del Liber privilegiorum di Santa Maria Nuova è rappresentato dal manoscritto custodito presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, con la  segnatura F.M.53.

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Manoscritto FM5. Particolare del capilettera

Si tratta  di un codice membranaceo frammentario di mm. 420×270, che reca in tutto 8 fogli scritti su due colonne in una gotica libraria grande e nitida, con capilettera iniziali filigranate in rosso e bleu, contenente le copie di sei privilegi reali concessi dai sovrani siciliani al Duomo di Monreale.

 

I documenti trascritti sono:

 

1. Mandato di Federico II del 22 marzo 1221, da Brindisi, rivolto ai giustizieri di Sicilia (corrispondente al doc. I.17 del codice Vat.Lat.3880)

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2. Privilegio di conferma del duca Guglielmo per il monastero di Santa Maria di Maccla, del maggio 1115 (doc. I.21 del Vat.Lat.3880);

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3. Privilegio di conferma di Ruggero II, datato 3 novembre 1144 a Messina, per il monastero di Santa Maria di Maccla (doc. I.22 del Vat.Lat.3880);

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4. Privilegio di concessione del duca Guglielmo, del dicembre 1120, di una tenuta di terre al monastero di San Sebastiano, sito nel territorio di Castel San Mauro (doc. I.23 del Vat.Lat.3880);

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5. Privilegio dell’imperatrice Costanza, datato 6 dicembre 1196 a Palermo, con cui si risolve la controversia sorta tra l’arcivescovo di Monreale Caro e Conrado di Monte Fusculo, signore di Grumi, per il possesso della tenuta di Bitetto (doc. I.24 del Vat.Lat.3880);

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6. Copia del precedente incompleta (doc. I.25 del Vat.Lat.3880).

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Lungo il margine sinistro della c. 1r, nel senso dell’altezza, sono riportati regesti di mano ed epoca diversi, probabilmente dell’inizio del XVI secolo; sulla stessa carta, al centro, si trova il numero in cifre romane VI e – poco più sotto – un piccolo 66 in cifre arabe.

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La fattura del codice, il tipo di scrittura utilizzato e l’aspetto decorativo, che pur nella sua semplicità lo rende elegante e prezioso, rendono probabile la sua identificazione con il testo originale commissionato dall’arcivescovo Arnaldo nel XIV secolo.

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Manoscritto FM5. Particolare

La gotica del ms. FM5

Allo stesso secolo dovrebbe appartenere anche il codice membranaceo XX.E.8 della Biblioteca del Seminario Arcivescovile di Monreale, di  mm. 335×235 e cc. 148 a due colonne, scritto in carattere gotico con rubriche rosse e capilettera ornati a disegno alternativamente rosso e celeste e rilegato in pelle rossa, su tavolette recanti tracce di quattro fermagli di rame.

Secondo Garufi sul manoscritto si alternano due mani: la prima, che va da f. 1 a f. 133, dell’epoca di Arnaldo di Rassach; la seconda, da f. 134 a f. 136, che avrebbe trascritto cinque documenti posteriori la morte dell’arcivescovo, rintracciabili anche nel codice Vat.Lat.38804.

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Negli ultimi due fogli del cod. XX.E.8 sono trascritti:

1. Estratto del testamento di Palma del nobile Bengarino de Podio contenente un lascito per la chiesa di Monreale, con data 9 febbraio 1375, XIII ind. (doc. IV.24 del Vat.Lat.3880);
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2. Carta di scambio, datata 1374, tra Guglielmo arcivescovo di Monreale e Giovanni Cannata de Alcamo di una casa solerata, che l’arcivescovato aveva a Corleone (doc. IV.25 del Vat.Lat.3880)
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3. Privilegio di re Alfonso con data 9 novembre 1443, VII ind., (non presente nel Vat.Lat.3880)
4. Privilegio di conferma del Vicerè Giovanni Moncada, in data  13 settembre 1462, XI ind., indirizzato all’arcivescovo Ausias des Puig (doc. IV.27 del Vat.Lat.3880)
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5. Privilegio di re Giovanni dato da Saragozza il 4 dicembre del 1464 (doc. IV.28 del Vat.Lat.3880).
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Gaetano Millunzi identificò in questo codice l’esemplare rassacchiano notato nell’inventario del 1533 con le parole: «librum unum in carta pergameni scriptum in bona littera in quo sunt annotata multa privilegia majoris ecclesie civ. Montis Reg. cum suis summariis litteris rubreis conservatum in arca privilegiorum intus thesaurum ecclesie», che fu poi trasferito da Ludovico II Torres nella biblioteca del Seminario intorno al 15915.

 

 

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Dovrebbe altresì essere il volume menzionato al n. 199 dell’Inventario che nel 1535 il governatore di Monreale Bernardo Spina, per ordine dell’arcivescovo cardinale Ippolito dei Medici, fece eseguire dal notaro Gian Luigi Altavilla6.

Sebbene non possa essere propriamente considerato tra le copie del Liber Privilegiorum della Chiesa di Monreale, merita di essere menzionato anche il Liber Pandectarum compilato nel 1551 dal monaco catanese Teofilo De Franco su incarico del suo abate Cesare Graffeo, attualmente depositato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana con la siglia F.M.147.

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Si tratta di un grosso volume cartaceo  di cc. 171 numerate sul recto, oltre a 13 fogli non numerati al principio, otto dei quali bianchi e cinque con le tavole dell’indice, misurante mm. 480×290, che contiene trascrizioni o sunti – vergati in una minuta italica – di 329 documenti privi di ordine logico o cronologico, ma ad ordine cronologico è disposto l’indice generale del volume nei primi fogli, che precedono immediatamente la dedica del codice.

Il manoscritto ha subito dolorose vicende:  Millunzi informava che agli inizi del XVII secolo, durante una controversia sorta tra il clero secolare e i monaci benedettini, alcuni fogli del volume furono strappati e bruciati alla presenza del cardinale Cosimo de Torres.

Secondo lo storico infatti,

che la esecuzione del codice sia stata sollecitata allora precisamente a cagione dei ferventi litigi, ce lo affermano tutte le circostanze storiche da noi ricordate, ed anche questo che il P. Teofilo scrivendo il codice si mostrava preoccupato dal pensiero delle liti, per cui sin dal primo foglio in un bel distico latino non so se composto da lui o da altri, ricorda al lettore un insegnamento troppo pratico e vero, rispondente agli intrighi e ai maneggi forensi di tutti i tempi e di tutti i luoghi: Qui fora qui lites exerces, sit tibi semper/ Pes citus, os clausum, sit tibi larga manus.

E infatti,

quando arcivescovo di Monreale fu il card. Cosimo de Torres (1634-1642), il P. Mauro Marchese, religioso dei resto assai colto, per la giustizia e per la pace pensò distruggere gli elementi della discordia e svelse alcuni fogli del Liber Pandectarum, e alla presenza del card. Torres li bruciò insieme ad altre carte di simil genere. A questi fatti si riferisce lo strappo dei fogli sopra ricordati del Liber Pandectarum: e a questi pure si riferiscono duenote che si trovano in detto codice scritte di mano del sec. XVII,

G. Millunzi, Il Tesoro, la Biblioteca e il Tabulario della Chiesa di Santa Maria Nuova in Monreale cit., pp. 260-261-262.

 

Dato per disperso, il codice fu ritrovato da Antonino Salinas e salvato dall’incuria degli impiegati del demanio che lo usavano come cuscino.

Il Liber Pandectarum non ha relazione diretta né col Tabulario di Santa Maria Nuova né con la collectanea del Rassach, sebbene indirettamente può dirsi che li riguardi entrambi, perché vi si trovano trascritti documenti estratti allora dal Tabulario e oggi non più esistenti.

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1  A. Petrucci, Fra conservazione ed oblio: segni, tipi e modi della memoria scritta. Relazione presentata per i 120 anni dell’Istituto Storico Italiano per il Medioevo, (Roma, 27 giugno 2003), in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo, 106 (2004), 1, pp. 75-92.

2  La notizia viene riportata da Henri Bresc nella sua monografia su libri e società in Sicilia, cfr. H. Bresc, Livre et société en Sicile (1299-1499), Palermo, Centro di studi filologici e linguistici 1971 (Bollettino del centro di studi filologici e linguistici. Supplemento), p. 294.

3  Cfr. Catalogo dei manoscritti del “Fondo Monreale” della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, già Biblioteca Nazionale, a cura di C. Pastena, Palermo, Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali e della Pubblica istruzione 1998 (Sicilia/Biblioteche, 39), pp. 29-31.

4  Cfr. C.A. Garufi, Catalogo illustrato del Tabulario di S. Maria Nuova in Monreale, Palermo, Era Nuova 1902 (Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. I), p. VII, nota 1.

5 Cfr. G. Millunzi, Il Tesoro, la Biblioteca e il Tabulario della Chiesa di Santa Maria Nuova in Monreale, in Archivio Storico Siciliano, 28 (1903), pp. 249-294: 253, nota 2.

6  Cfr. N. Giordano, Pagine monrealesi. Spigolature storiche, Palermo, Renzo Mazzone Editore 1972, p. 33.

7  Per questo codice v. G.  Millunzi., Il Tesoro, la Biblioteca e il Tabulario della Chiesa di Santa Maria Nuova in Monreale cit., pp. 285-286.