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Il codice Vat.Lat. 3880 dalla carta al bit

Più o meno negli stessi anni in cui veniva redatta la seconda stesura del Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova di Monreale, Giovanni Tritemio, abate del monastero benedettino di San Martino a Sponheim, scriveva nel suo De laude scriptorum, per confortare i suoi monaciscoraggiati dalla diffusione della stampa in seguito alla pubblicazione a Magonza nel 1455 della prima Bibbia in folio:

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Senza gli amanuensi la scrittura non potrebbe resistere a lungo, poiché verrebbe corrotta dal tempo e dispersa dal caso. I testi a stampa infatti, essendo su carta saranno destinati a consumarsi in breve tempo. Al contrario, il copista, trascrivendo su pergamena, ha diffuso in tal modo, lontano nel tempo la propria forma e quella di ciò che ha scritto. Se, nonostante tutto, molti scelgono d’impiegare la stampa per diffondere le proprie opere, di ciò giudicheranno i posteri. E se anche tutti i libri del mondo venissero stampati, il devoto amanuense non dovrà mai desistere dal proprio compito, ma anzi dovrà impegnarsi nel preservare su pergamena, mediante la scrittura manuale i libri a stampa più utili, che altrimenti non potrebbero conservarsi tanto a lungo per la natura effimera del materiale cartaceo,

G. Tritemio, Elogio degli amanuensi, Palermo, Sellerio 1997 (Il divano, 124), p. 66.

Se le previsioni di Tritemio si fossero dimostrate fondate la cultura moderna sarebbe stata diversa e la stessa ricerca storica, una “scienza in movimento”, non si sarebbe probabilmente evoluta.

Negli ultimi anni, proprio come l’avvento della stampa nel XV secolo, anche l’informatica ha rappresentato un’innovazione tangibile del vivere quotidiano, rilevabile nelle stesse modificazioni del lessico: parole come multimedia, ipertesto, database, foglio di calcolo, word, mail sono oggi entrate a pieno diritto nel vocabolario comune.

La convergenza al digitale ha travolto – inevitabilmente – anche le discipline storiche, investendo sostanzialmente il campo dell’archiviazione e della conservazione dei dati, quello ormai classico dell’analisi quantitativa sulle fonti seriali e non ultima, la diffusione dei risultati della ricerca su internet.

Questi tre approcci sono stati sintetizzati da Peppino Ortoleva nel suo ormai classico Presi nella rete? Circolazione del sapere storico e tecnologie informatiche, in Storia & Computer. Alla ricerca del passato con l’informatica, a cura di S. Soldani e L. Tomassini, Bruno Mondadori 1996 (Testi e pretesti), pp. 64-82.

Tale suddivisione è ancora attiva, sebbene sia stata ormai superata da usi e applicazioni ben più complessi.

La comunità degli storici del XXI secolo ha chiesto infatti alle tecnologie informatiche non solo vie di accesso a risorse utili al lavoro, ma anche una strumentazione adeguata per individuare – con precisione maggiore rispetto a quella consentita dalle metodologie tradizionali – le fonti che costituiscono la base della ricerca e se possibile, attraverso un passaggio ricco di implicazioni epistemologiche, di averne edizioni fruibili anche a distanza.

Come ha sintetizzato Mario Ricciardi, 

il rapporto tra fonti e tecnologia si può porre, oggi, in questi termini: intendiamo riprodurre le fonti con tecnologie profondamente diverse da quelle proprie dell’epoca storica in cui quel documento fu prodotto e insieme, proporre intatta la funzione di rappresentazione dell’oggetto che la stessa fonte esercitò nel suo tempo storico,

M. Ricciardi, Testi virtuali e tradizione letteraria, in Storia & Multimedia. Atti del VII Congresso Internazionale dell’Associazione for History and Computing, a cura di F. Bocchi e P. Denley, Bologna, Grafis 1994, pp. 83-99:84.

A questa ambizione cerca di fornire una risposta – ma forse sarebbe più appropriato dire un’opzione possibile – questo progetto di ricerca, fondato sulla realizzazione dell’edizione digitale del codice Vat.Lat.3880.

Introduzione

Edizione diplomatica

Il codice Vat.Lat.3880

 

 

 

 

Nelle sezioni precedenti, attraverso la descrizione della struttura e dei contenuti offerti dal Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova, si è cercato di mettere in luce come una fonte primaria, con i suoi diversi livelli di significati contestuali e di relazioni multiple, sia sempre la conditio sine qua non del lavoro dello storico.

 

 

Descrivere la fonte, analizzarne caratteristiche, strutture e contenuti sono però passaggi metodologici diversi dalla riproduzione: che è «una pratica di supporto e di confronto rispetto alla descrizione»1 generalmente demandata alle discipline filologiche, cui spetta il difficile incarico di elaborare le memorie prodotte da altri, riorganizzandole secondo schemi e parametri interpretativi moderni in una nuova sistematizzazione, una nuova memoria.

La pratica editiva

è un elemento della condizione storica in cui ci si ritrova e ci si sente sollecitati, fra l’altro, all’impresa storiografica; ed è da essa che, con le procedure della funzione e del lavoro storiografico proprie di ciascun contesto, lo storico muove, sia pure nei modi più vari comportati dalla sua iniziativa rispetto al contesto, nell’affrontare la ricerca,

G. Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna, Il Mulino 2000 (Saggi, 521), p. 116.

Per questi motivi, anche nel caso proposto il punto di partenza è rimasto una classica operazione di edizione diplomatica e analisi storica sul manoscritto e i documenti in esso trascritti.

 

 

A cambiare, attraverso l’euristica proposta, sono state piuttosto le pratiche del lavoro che hanno accompagnato lo studio della fonte, trasformando il liber in qualcosa di ben diverso dal manoscritto a tre dimensioni con cui la attività storica si è da sempre confrontata.

Sono state proprio le caratteristiche strutturali e concettuali del cartulario a fornire un pretesto valido per sperimentare se, più che adattare il mezzo elettronico alla tradizionale metodologia della ricerca storica, fosse possibile innovare radicalmente tale metodologia.

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Come ha giustamente sottolineato Michele Ansani,

chi per mestiere si occupa di analisi ed edizione di fonti documentarie medievali può verosimilmente trovarsi meno a disagio di altri specialisti di critica del testo; esercitandosi su scritture ad alto grado di formalizzazione, e vantando antiche vocazioni definitorie e classificatorie, l’editore di fonti dispone di un controllo astratto del proprio materiale di lavoro che ben si concilia con le astrazioni della computer science,

M. Ansani, Diplomatica e nuove tecnologie. La tradizione disciplinare fra innovazione e nemesi digitale, (relazione quadro della sessione dedicata a «La documentazione», presentata al workshop Medium-evo. Gli studi medievali e il mutamento digitale, Firenze, 21-22 giugno 2001), in Scrineum 1 (2003).

La documentazione diplomatica contenuta nel Liber Privilegiorum, proprio in virtù del suo alto grado di connettività interna ed esterna, rappresenta la testimonianza ideale per la sperimentazione di soluzioni informatiche nel trattamento dei dati storici.

Fine principale del progetto è stato infatti ricreare in ambiente digitale il corpus documentario incluso all’interno del codice monrealese, adottando un linguaggio di codifica calibrato sulle caratteristiche dei diplomi ma anche sulle esigenze – le categorie di analisi critica – della ricerca storico-diplomatistica.

Edizione diplomatica

I Linguaggi di Codifica

 

 

   

In questa  direzione, l’obiettivo perseguito è stato non tanto testare soluzioni inedite o mirabolanti, bensì individuare ed esplicitare le potenzialità che le tecnologie telematiche hanno reso disponibili per migliorare la qualità della ricerca e dei suoi risultati.

Un punto fermo nell’approccio al mezzo informatico è stato infatti il richiamo, formulato nell’ormai lontano 1976 da Emmanuel Le Roy Ladurie, ad un uso consapevole del calcolatore:

Nella storia, come in ogni altro campo, ciò che conta non è la macchina, bensì il problema. La macchina può interessarci solo nella misura in cui ci permette di affrontare problemi nuovi e originali per metodo, contenuto e soprattutto ampiezza,

E. Le Roy Ladurie, Lo storico e il calcolatore elettronico, in Id., Le frontiere dello storico, Roma-Bari, Laterza 1976 (Saggi Tascabili Laterza, 25), pp. 3-7:3.

In un momento storico contrassegnato dalla difficile convivenza tra cartaceo ed elettronico, lineare e multisequenziale, l’atteggiamento più proficuo è apparso proprio la sperimentazione che, senza volersi imporre come «il rovesciamento e la riscrittura di un canone disciplinare», è stata piuttosto «inquadrata in una prospettiva di arricchimento di quella medesima tradizione»2.

La questione semmai ha riguardato, e in modo problematico, la trasformazione della natura della documentazione utilizzata, la sua smaterializzazione e la conseguente immersione in un contesto operativo ben diverso da quello cui tradizionalmente è stato abituato lo storico: come infatti la stessa edizione cartacea è, anche intuitivamente, qualcosa di diverso rispetto al manoscritto originario, se non altro perché lo arricchisce di apparati critici, commenti, indici, ancor di più finisce con l’esserlo un’edizione elettronica, per le incomparabili possibilità di integrazione in un unico ambiente di molteplici risorse – documentarie, bibliografiche, saggistiche – e strumenti di analisi.

Il termine “smaterializzazione” è sicuramente evocativo di un pericolo reale: la riduzione e l’allontanamento della percezione stessa dei documenti informatici come patrimonio culturale da salvaguardare per l’eternità.

«Lo sviluppo tecnologico infatti, smaterializzando i documenti e gli archivi, ne fa perdere di vista la corposità, complica la riconoscibilità del bene in quanto patrimonio accumulato nel tempo di sapere e testimonianza»,

M. Guercio, Archivistica informatica, Roma, Carocci 2002 (Beni Culturali, 23), p. 98.

Riposizionata sullo schermo di un computer la fonte ha finito infatti col costituire, pur mantenendo tutta la sua importanza, un elemento fra i molti: elemento ovviamente centrale, ma inserito in un quadro informativo che ha in qualche misura modificato il concetto stesso di pratica storica e in ultima istanza, il linguaggio stesso con cui si è pensata, letta e scritta questa storia.

Sebbene non esistano ancora una tradizione e una prassi consolidata di edizioni  elettroniche, e la costante evoluzione di tecnologie e linguaggi sembri  «necessariamente collocare nel limbo della provvisorietà ogni soluzione individuata e proposta»3, basterà tenere sempre presente che l’obiettivo principale di uno storico non è mettere a punto sofisticate ingegnerie ma rendere conto della propria capacità di ricodificare le testimonianze del passato, attraverso scelte funzionali alle esigenze della ricerca in atto.

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L’idea di un “cantiere aperto” – un laboratorio in cui la trascrizione  digitale possa essere modificata alla luce di ogni nuovo elemento – ben si accorda del resto al suggerimento di una Historical Information Science, avanzato da Manfred Thaller per affrontare adeguatamente il problema della rappresentazione digitale e dell’elaborazione automatica dei dati trasmessi dalla documentazione storica, fondato sulla consapevolezza che l’informazione trattata da uno studioso non possa essere determinata preliminarmente o comunque, in modo assoluto e definitivo.

Vai alla Scheda sulla Historical Information Science

Lo scopo dichiarato dell’edizione digitale è stato dunque quello di mettere a disposizione degli studiosi il testo di una fonte inedita, in una forma aperta alla costruzione e alla revisione delle ipotesi interpretative.

Tre sono i temi su cui si è sviluppata la costruzione informatica:

  • l’elaborazione di un software per la raccolta dei dati;

  • la gestione, l’interpretazione e l’elaborazione di un modello storiografico che utilizzi materiali digitali non solo nella fase della ricerca, ma anche in quella scrittura, permettendone l’accesso al lettore in varia misura e con differenti modalità.

Per raggiungere questi obiettivi il piano operativo ha previsto numerosi passaggi euristici e in particolare, la definizione di un modello di codifica testuale basato sul linguaggio di marcatura XML: una scelta che, unita alla trasparenza delle procedure e alla possibilità di contemperare molteplici livelli di accesso alla documentazione, ha costituito il reale plusvalore dell’edizione elettronica rispetto un’edizione a stampa.

La modellizzazione

L'eXtensible Markup Language

 

 

 

La codifica digitale ha infatti costretto ad operare scelte talvolta omesse in applicazioni routinarie, producendo parallelamente ritorni significativi in sede di information retrieval.

La manipolazione informatica cioè, ha costituito in questo contesto un’operazione di livello scientifico aggiuntivo, destinata a rimettere parzialmente in discussione la lettura critica della documentazione monrealese e nel contempo, a creare i presupposti per un corretto funzionamento degli strumenti di gestione e ricerca automatica sul corpus documentario presentato.

I documenti pubblicati on line sono stati presentati – grazie alla trasformazione operata attraverso un foglio di stile – in forma di file HTML e inseriti all’interno di un sito costruito ottemperando i parametri indicati da Guido Abbatista come fondamentali per una corretta diffusione di informazioni storiche su internet4.

Si è cercato quindi di raggiungere:

  • la sinteticità visiva dell’informazione e l’immediata comprensibilità dei percorsi per raggiungerla;

  • la facilità e rapidità di accesso alle singole parti della struttura ipertestuale;

  • l’omogeneità delle sezioni;

  • l’attendibilità;

  • un alto grado di connettività interna ed esterna.

Fondamento del lavoro è stata chiaramente la tecnologia ipertestuale che, presentando modularmente i documenti, ne ha permesso sia l’integrazione nel contesto storico di riferimento sia l’affiancamento all’apparato di supporto composto dalle schede tecniche, gli indici e le liste di nomi e cose notevoli, gli elenchi dei documenti, i regesti, la biblio e sitografia di riferimento.

Pagina degli elenchi

Storia e territorio di Monreale

Regesti

 

 

 

 

 

La possibilità di rappresentazione non lineare connessa alla tecnologia ipertestuale ha determinato il riposizionamento virtuale e l’immediata consultabilità dei singoli documenti all’interno di tutte le sequenze potenzialmente configurabili da uno storico, consentendo di intraprendere percorsi vietati alla tecnologia della stampa e aggirando l’ostacolo della stabilità e dell’immodificabilità5.

L’annullamento, proprio dell’ipertesto, delle distinzioni tra inizioe fine, dentro e fuori, si è infatti tradotta nella possibilità di combinare strutture e processi, spazio e tempo, collocando il cartulario monrealese e i suoi contenuti in un sistema dinamico che, superando le aporie derivanti dalla difficoltà di far convivere all’interno dello stesso testo lineare-sequenziale livelli diversi di profondità, analisi, rapporto con le fonti, ha tentato ambiziosamente il collegamento  con l’idea braudeliana di una “storia totale”, attenta ad esplorare e restituire la complessità delle vicende e dei processi storici indagati.

L’innovazione di maggiore portata è sembrata, alla fine, proprio la struttura aperta e mutevole del testo elettronico, continuamente aggiornabile e – in quanto tale – capace di ridefinire il concetto stesso di fonte e di edizione.

 

 

Proprio l’assenza di un percorso privilegiato6, che ben si addice alle proprietà della ricerca storica nella quale la lettura di un documento non è mai sequenziale, ma «guidata dall’interesse di ritrovare un particolare punto»7, ha permesso di compiere un ulteriore passo verso un’ambiente di elaborazione integrata finalizzato a supportare il pensiero e la creatività dello storico, ma soprattutto a trattare conoscenza anziché, semplicemente, dati e informazioni.

Resta per inteso che il momento della pubblicazione on line permette un approdo non-definitivo, ma la fissazione temporanea di un risultato destinato comunque a essere non solo migliorato ulteriormente, ma rimesso in circolo, in qualche misura riscritto, anche da altri.

Nei paragrafi seguenti si cercherà di restituire il “dietro le quinte” del prodotto editoriale realizzato e delle fasi della sua costruzione.

Si tratta di aspetti poco – o per nulla – visibili durante la navigazione e l’utilizzo di un sito internet, ma che nella costruzione di un prodotto scientifico dovrebbero sempre essere mostrati e descritti analiticamente, al fine di contestualizzare la fonte digitale e quindi di fatto, renderla pienamente intellegibile e utilizzabile.

Scegliere di non espungere le fasi ideative e tecnologiche – ovvero i passaggi critici e materiali che hanno presieduto la preparazione e l’implementazione elettronica – è un impegno alla trasparenza delle operazioni che stanno alla base della risorsa digitale e un contributo alla possibilità di un uso consapevole del lavoro.

In gioco sono la tutela e il rinnovamento del patrimonio di metodi e saperi specialistici delle discipline medievistiche: l’esegesi delle fonti, i criteri di edizione, la varietà dei metodi di indagine, l’apertura multidisciplinare, il vaglio critico dei risultati.

Utilizzando ecdotiche ed ermeneutiche specifiche delle nuove risorse digitali, a parere di chi scrive, resterà rilevante – anzi, acquisterà peso – la capacità critica di sintesi e comparazione, che potrebbero anzi mostrare una rinnovata attitudine di disvelamento dei meccanismi impliciti e delle scelte culturali e funzionali che presiedono tutti i passaggi, tecnici e non, della storiografia digitale.

L’impressione è che la ricerca storica dovrà innanzitutto sopravvivere a se stessa, alle sue chiusure difensive di tipo accademico e disciplinare, ai suoi automatismi, alla sua tendenziale autoreferenzialità, e che potrà farlo solo ricorrendo ancora una volta alla tradizione di regole che garantiscono una rigorosa pratica della ricerca, che resta il fondamento del valore scientifico della conoscenza storica; ma insieme, dovrà mostrare la capacità di estendere il suo sguardo sul mondo e di comunicare in modo orizzontale con esso, con le sue diverse esperienze e culture: solo nel confronto e nella traduzione delle domande del presente la storia potrà ancora svolgere la propria funzione e affrontare la crisi della propria identità nell’età contemporanea.

Le mirabolanti prestazioni del computer difficilmente potranno mai surrogare il controllo e l’esperienza sul materiale di lavoro, che solo un apposito addestramento e un lungo tirocinio garantiscono allo studioso.

Sarà la capacità del medievista di interloquire con gli specialisti delle tecnologie digitali, o la sua flessibilità e tendenziale autonomia nella scelta di soluzioni informatiche adeguate, a consolidare il baricentro della riflessione: il digitaleandrà comunque pensato in funzione delle fonti storiche,e non le fonti in funzione del digitale.

 

 

 

 


1  A. Petrucci, La scrittura descritta, in Scrittura e civiltà, 15 (1991), pp. 5-20.

2  M. Ansani, Diplomatica e nuove tecnologie cit.

3   M. Ansani, Diplomatica (e diplomatisti) nell’arena digitale, in Archivio Storico Italiano, 158 (2000), pp. 349-398; e in Scrineum 1 (1999), pp. 1-11.

5  «In virtù di tali caratteristiche, la tecnologia elettronica conferisce ai testi un valore aggiunto, assente nella tradizionale forma cartacea (…); i links ipertestuali permettono di evidenziare le relazioni concettuali tra i documenti e, più in generale, tra concetti, materializzandole e rendendole visibili e tangibili. Pertanto gli ipertesti costituiscono un notevole contributo a una maggiore chiarezza e trasparenza dei documenti», P. Fezzi, Gli ipertesti: un nuovo media?, in Oltre il testo: gli ipertesti, a cura di M. Ricciardi, Milano, Franco Angeli 1994 (Scienze umane e Nuove tecnologie, 1), pp. 175-205:180. 

6 Cfr. G. Roncaglia, Ipertesti e argomentazione, in Le comunità virtuali e i saperi umanistici, a cura di P. Carbone e P. Ferri, Milano 1999, pp. 219-242.

7 G. Sommi, Macchine per leggere e per comprendere, in Macchine per leggere. Tradizioni e nuove tecnologie per comprendere i testi. Atti del Convegno di studio della fondazione Ezio Franceschini e della fondazione IBM Italia, Certosa del Galluzzo, 19 novembre 1993, a cura di C. Leonardi, M. Morelli e F. Santi, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo 1993 (Quaderni di cultura mediolatina, 10)., pp. 171-187:180.