Il codice Vat.Lat. 3880 dalla carta al bit
Se le previsioni di Tritemio si fossero dimostrate fondate la cultura moderna sarebbe stata diversa e la stessa ricerca storica, una “scienza in movimento”, non si sarebbe probabilmente evoluta.
Negli ultimi anni, proprio come l’avvento della stampa nel XV secolo, anche l’informatica ha rappresentato un’innovazione tangibile del vivere quotidiano, rilevabile nelle stesse modificazioni del lessico: parole come multimedia, ipertesto, database, foglio di calcolo, word, mail sono oggi entrate a pieno diritto nel vocabolario comune. La convergenza al digitale ha travolto – inevitabilmente – anche le discipline storiche, investendo sostanzialmente il campo dell’archiviazione e della conservazione dei dati, quello ormai classico dell’analisi quantitativa sulle fonti seriali e non ultima, la diffusione dei risultati della ricerca su internet.
Tale suddivisione è ancora attiva, sebbene sia stata ormai superata da usi e applicazioni ben più complessi. La comunità degli storici del XXI secolo ha chiesto infatti alle tecnologie informatiche non solo vie di accesso a risorse utili al lavoro, ma anche una strumentazione adeguata per individuare – con precisione maggiore rispetto a quella consentita dalle metodologie tradizionali – le fonti che costituiscono la base della ricerca e se possibile, attraverso un passaggio ricco di implicazioni epistemologiche, di averne edizioni fruibili anche a distanza. Come ha sintetizzato Mario Ricciardi,
A questa ambizione cerca di fornire una risposta – ma forse sarebbe più appropriato dire un’opzione possibile – questo progetto di ricerca, fondato sulla realizzazione dell’edizione digitale del codice Vat.Lat.3880.
Nelle sezioni precedenti, attraverso la descrizione della struttura e dei contenuti offerti dal Liber Privilegiorum di Santa Maria Nuova, si è cercato di mettere in luce come una fonte primaria, con i suoi diversi livelli di significati contestuali e di relazioni multiple, sia sempre la conditio sine qua non del lavoro dello storico.
Descrivere la fonte, analizzarne caratteristiche, strutture e contenuti sono però passaggi metodologici diversi dalla riproduzione: che è «una pratica di supporto e di confronto rispetto alla descrizione»1 generalmente demandata alle discipline filologiche, cui spetta il difficile incarico di elaborare le memorie prodotte da altri, riorganizzandole secondo schemi e parametri interpretativi moderni in una nuova sistematizzazione, una nuova memoria. La pratica editiva
Per questi motivi, anche nel caso proposto il punto di partenza è rimasto una classica operazione di edizione diplomatica e analisi storica sul manoscritto e i documenti in esso trascritti.
A cambiare, attraverso l’euristica proposta, sono state piuttosto le pratiche del lavoro che hanno accompagnato lo studio della fonte, trasformando il liber in qualcosa di ben diverso dal manoscritto a tre dimensioni con cui la attività storica si è da sempre confrontata.
Come ha giustamente sottolineato Michele Ansani,
La documentazione diplomatica contenuta nel Liber Privilegiorum, proprio in virtù del suo alto grado di connettività interna ed esterna, rappresenta la testimonianza ideale per la sperimentazione di soluzioni informatiche nel trattamento dei dati storici. Fine principale del progetto è stato infatti ricreare in ambiente digitale il corpus documentario incluso all’interno del codice monrealese, adottando un linguaggio di codifica calibrato sulle caratteristiche dei diplomi ma anche sulle esigenze – le categorie di analisi critica – della ricerca storico-diplomatistica.
In questa direzione, l’obiettivo perseguito è stato non tanto testare soluzioni inedite o mirabolanti, bensì individuare ed esplicitare le potenzialità che le tecnologie telematiche hanno reso disponibili per migliorare la qualità della ricerca e dei suoi risultati. Un punto fermo nell’approccio al mezzo informatico è stato infatti il richiamo, formulato nell’ormai lontano 1976 da Emmanuel Le Roy Ladurie, ad un uso consapevole del calcolatore:
In un momento storico contrassegnato dalla difficile convivenza tra cartaceo ed elettronico, lineare e multisequenziale, l’atteggiamento più proficuo è apparso proprio la sperimentazione che, senza volersi imporre come «il rovesciamento e la riscrittura di un canone disciplinare», è stata piuttosto «inquadrata in una prospettiva di arricchimento di quella medesima tradizione»2.
La questione semmai ha riguardato, e in modo problematico, la trasformazione della natura della documentazione utilizzata, la sua smaterializzazione e la conseguente immersione in un contesto operativo ben diverso da quello cui tradizionalmente è stato abituato lo storico: come infatti la stessa edizione cartacea è, anche intuitivamente, qualcosa di diverso rispetto al manoscritto originario, se non altro perché lo arricchisce di apparati critici, commenti, indici, ancor di più finisce con l’esserlo un’edizione elettronica, per le incomparabili possibilità di integrazione in un unico ambiente di molteplici risorse – documentarie, bibliografiche, saggistiche – e strumenti di analisi.
Riposizionata sullo schermo di un computer la fonte ha finito infatti col costituire, pur mantenendo tutta la sua importanza, un elemento fra i molti: elemento ovviamente centrale, ma inserito in un quadro informativo che ha in qualche misura modificato il concetto stesso di pratica storica e in ultima istanza, il linguaggio stesso con cui si è pensata, letta e scritta questa storia.
Lo scopo dichiarato dell’edizione digitale è stato dunque quello di mettere a disposizione degli studiosi il testo di una fonte inedita, in una forma aperta alla costruzione e alla revisione delle ipotesi interpretative. Tre sono i temi su cui si è sviluppata la costruzione informatica:
Per raggiungere questi obiettivi il piano operativo ha previsto numerosi passaggi euristici e in particolare, la definizione di un modello di codifica testuale basato sul linguaggio di marcatura XML: una scelta che, unita alla trasparenza delle procedure e alla possibilità di contemperare molteplici livelli di accesso alla documentazione, ha costituito il reale plusvalore dell’edizione elettronica rispetto un’edizione a stampa.
La codifica digitale ha infatti costretto ad operare scelte talvolta omesse in applicazioni routinarie, producendo parallelamente ritorni significativi in sede di information retrieval. La manipolazione informatica cioè, ha costituito in questo contesto un’operazione di livello scientifico aggiuntivo, destinata a rimettere parzialmente in discussione la lettura critica della documentazione monrealese e nel contempo, a creare i presupposti per un corretto funzionamento degli strumenti di gestione e ricerca automatica sul corpus documentario presentato. I documenti pubblicati on line sono stati presentati – grazie alla trasformazione operata attraverso un foglio di stile – in forma di file HTML e inseriti all’interno di un sito costruito ottemperando i parametri indicati da Guido Abbatista come fondamentali per una corretta diffusione di informazioni storiche su internet4. Si è cercato quindi di raggiungere:
Fondamento del lavoro è stata chiaramente la tecnologia ipertestuale che, presentando modularmente i documenti, ne ha permesso sia l’integrazione nel contesto storico di riferimento sia l’affiancamento all’apparato di supporto composto dalle schede tecniche, gli indici e le liste di nomi e cose notevoli, gli elenchi dei documenti, i regesti, la biblio e sitografia di riferimento.
L’annullamento, proprio dell’ipertesto, delle distinzioni tra inizioe fine, dentro e fuori, si è infatti tradotta nella possibilità di combinare strutture e processi, spazio e tempo, collocando il cartulario monrealese e i suoi contenuti in un sistema dinamico che, superando le aporie derivanti dalla difficoltà di far convivere all’interno dello stesso testo lineare-sequenziale livelli diversi di profondità, analisi, rapporto con le fonti, ha tentato ambiziosamente il collegamento con l’idea braudeliana di una “storia totale”, attenta ad esplorare e restituire la complessità delle vicende e dei processi storici indagati. L’innovazione di maggiore portata è sembrata, alla fine, proprio la struttura aperta e mutevole del testo elettronico, continuamente aggiornabile e – in quanto tale – capace di ridefinire il concetto stesso di fonte e di edizione.
Proprio l’assenza di un percorso privilegiato6, che ben si addice alle proprietà della ricerca storica nella quale la lettura di un documento non è mai sequenziale, ma «guidata dall’interesse di ritrovare un particolare punto»7, ha permesso di compiere un ulteriore passo verso un’ambiente di elaborazione integrata finalizzato a supportare il pensiero e la creatività dello storico, ma soprattutto a trattare conoscenza anziché, semplicemente, dati e informazioni. Resta per inteso che il momento della pubblicazione on line permette un approdo non-definitivo, ma la fissazione temporanea di un risultato destinato comunque a essere non solo migliorato ulteriormente, ma rimesso in circolo, in qualche misura riscritto, anche da altri. Nei paragrafi seguenti si cercherà di restituire il “dietro le quinte” del prodotto editoriale realizzato e delle fasi della sua costruzione. Si tratta di aspetti poco – o per nulla – visibili durante la navigazione e l’utilizzo di un sito internet, ma che nella costruzione di un prodotto scientifico dovrebbero sempre essere mostrati e descritti analiticamente, al fine di contestualizzare la fonte digitale e quindi di fatto, renderla pienamente intellegibile e utilizzabile. Scegliere di non espungere le fasi ideative e tecnologiche – ovvero i passaggi critici e materiali che hanno presieduto la preparazione e l’implementazione elettronica – è un impegno alla trasparenza delle operazioni che stanno alla base della risorsa digitale e un contributo alla possibilità di un uso consapevole del lavoro. In gioco sono la tutela e il rinnovamento del patrimonio di metodi e saperi specialistici delle discipline medievistiche: l’esegesi delle fonti, i criteri di edizione, la varietà dei metodi di indagine, l’apertura multidisciplinare, il vaglio critico dei risultati. Utilizzando ecdotiche ed ermeneutiche specifiche delle nuove risorse digitali, a parere di chi scrive, resterà rilevante – anzi, acquisterà peso – la capacità critica di sintesi e comparazione, che potrebbero anzi mostrare una rinnovata attitudine di disvelamento dei meccanismi impliciti e delle scelte culturali e funzionali che presiedono tutti i passaggi, tecnici e non, della storiografia digitale. L’impressione è che la ricerca storica dovrà innanzitutto sopravvivere a se stessa, alle sue chiusure difensive di tipo accademico e disciplinare, ai suoi automatismi, alla sua tendenziale autoreferenzialità, e che potrà farlo solo ricorrendo ancora una volta alla tradizione di regole che garantiscono una rigorosa pratica della ricerca, che resta il fondamento del valore scientifico della conoscenza storica; ma insieme, dovrà mostrare la capacità di estendere il suo sguardo sul mondo e di comunicare in modo orizzontale con esso, con le sue diverse esperienze e culture: solo nel confronto e nella traduzione delle domande del presente la storia potrà ancora svolgere la propria funzione e affrontare la crisi della propria identità nell’età contemporanea. Le mirabolanti prestazioni del computer difficilmente potranno mai surrogare il controllo e l’esperienza sul materiale di lavoro, che solo un apposito addestramento e un lungo tirocinio garantiscono allo studioso.
Sarà la capacità del medievista di interloquire con gli specialisti delle tecnologie digitali, o la sua flessibilità e tendenziale autonomia nella scelta di soluzioni informatiche adeguate, a consolidare il baricentro della riflessione: il digitaleandrà comunque pensato in funzione delle fonti storiche,e non le fonti in funzione del digitale.
2 M. Ansani, Diplomatica e nuove tecnologie cit. 3 M. Ansani, Diplomatica (e diplomatisti) nell’arena digitale, in Archivio Storico Italiano, 158 (2000), pp. 349-398; e in Scrineum 1 (1999), pp. 1-11. 4 Cfr. G. Abbattista, Problemi di valutazione delle risorse telematiche per la ricerca storica. Testo provvisorio redatto a scopo di supporto didattico e documentazione . 5 «In virtù di tali caratteristiche, la tecnologia elettronica conferisce ai testi un valore aggiunto, assente nella tradizionale forma cartacea (…); i links ipertestuali permettono di evidenziare le relazioni concettuali tra i documenti e, più in generale, tra concetti, materializzandole e rendendole visibili e tangibili. Pertanto gli ipertesti costituiscono un notevole contributo a una maggiore chiarezza e trasparenza dei documenti», P. Fezzi, Gli ipertesti: un nuovo media?, in Oltre il testo: gli ipertesti, a cura di M. Ricciardi, Milano, Franco Angeli 1994 (Scienze umane e Nuove tecnologie, 1), pp. 175-205:180. 6 Cfr. G. Roncaglia, Ipertesti e argomentazione, in Le comunità virtuali e i saperi umanistici, a cura di P. Carbone e P. Ferri, Milano 1999, pp. 219-242. 7 G. Sommi, Macchine per leggere e per comprendere, in Macchine per leggere. Tradizioni e nuove tecnologie per comprendere i testi. Atti del Convegno di studio della fondazione Ezio Franceschini e della fondazione IBM Italia, Certosa del Galluzzo, 19 novembre 1993, a cura di C. Leonardi, M. Morelli e F. Santi, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo 1993 (Quaderni di cultura mediolatina, 10)., pp. 171-187:180. |