Introduzione
 Nel solco della tradizione, ma verso il futuro

Definire i caratteri e i criteri ispiratori di un lavoro di ricerca non è mai impresa facile. Le numerose suggestioni da cui si è partiti, al termine dell’opera si intrecciano in un tutt’uno che appare inestricabile e che proprio per questo però sembra esigere degli opportuni chiarimenti. La dialettica tra passato e presente che si intende presentare si configura infatti come una relazione che si è compiuta attraverso slanci, movimenti, idee spesso lontane tra loro, svolgendosi lungo un percorso che dall’epoca medievale ha portato alla contemporaneità: una distanza che appare siderale e che invece, nel gioco storico proposto e nel costante superamento delle ipotesi iniziali, ha trovato una sintesi – si spera – efficace.

Il filo che lega le tre parti, apparentemente così diverse, di cui si compone questo progetto è, in qualche modo, la memoria. Su questo tema si declinano gli interessi che hanno guidato l’indagine storica sulla fonte – la sua formazione, la retorica ad essa sottesa – e attraverso la fonte – le vicende istituzionali e patrimoniali dell’arcidiocesi monrealese che il libro di privilegi ha tramandato nei secoli, fino a oggi.

Qui, la memoria ha trovato un diverso orizzonte concettuale divenendo memoria informatica, nella convinzione che il passato storico sia sempre, e in ogni caso, il risultato di una costruzione e di una rappresentazione culturale che oggi passano – quasi necessariamente – attraverso la dirompente rivoluzione tecnologica: parafrasando Jan Assmann, fare storia è un’attività sempre guidata da motivi, attese, speranze ed obiettivi specifici, ma soprattutto plasmata dal quadro di riferimento del presente.1 

In questo senso lo stimolo più grande alla ricerca è derivato proprio da un’attualità in cui molti paventano la perdita della storia, azzerata dalla rapidità onnivora dei cambiamenti in atto e dall’eclisse del pensiero dialettico, che sembra scomparire nel riverbero di un presente multimediale, globale, onnivoro e dove la stessa tecnologia viene percepita come una minaccia, prima che un’occasione.

Anche in ambito storico la spinta al digitale, che proprio negli ultimi anni sembra aver subito un’accelerazione improvvisa, non riesce a trovare un quadro culturale in grado di reggerne il peso, creando una contraddizione profonda tra i desideri e le aspirazioni di chi ne subisce il fascino indiscreto e chi, invece, si mostra ancora restìo ad accettarne prospettive e metodologie.

Chi scrive parte dalla convinzione che da simili difficoltà non si possa più sfuggire, e che vadano invece affrontate attraverso sperimentazioni sostenibili, in grado di riallacciare le fila di una tradizione disciplinare ancora importante, seguendo la strada di un progressivo adeguamento alle tecniche e alle possibili implicazioni epistemologiche che la tecnologia informatica è capace di offrire. La prospettiva perseguita è quella magistralmente sintetizzata da Aldo Schiavone il quale, in un recente saggio dal titolo evocativo – Storia e Destino – ha sostenuto:

Abbiamo bisogno di un nuovo umanesimo, costruttore di una razionalità integrata e globale al passo con le nostre responsabilità. E quando – come si sta verificando già in molte situazioni – ci accorgiamo che la potenza raggiunta dalla tecnica entra in conflitto con la ristrettezza delle strutture che hanno consentito di svilupparsi ma che poi risultano inadatte a sorreggerne gli esiti, dovremo saper lavorare per modificare le condizioni non più compatibili con il nuovo contesto, e cercare equilibri migliori,

A. Schiavone, Storia e destino, Torino, Einaudi 2007, pp. 81-82.

Al di fuori di questa determinazione, che richiede una cura assoluta della memoria, l’operazione storiografica condotta resta un’analisi soggettiva, ma non per questo arbitraria, affidata ad alcuni presupposti metodologici che ne costituiscono la base inderogabile e che in questa sede si è sempre cercato di rispettare. Così, il tentativo di colmare quel vuoto tra il “vecchio” e il “nuovo” che sempre più sembra allargarsi, generando una vera e propria stasi epistemologica, si è tradotto in un esperimento finalizzato a rintracciare un legame reale tra conoscenze e tradizioni diverse. Il confine può sembrare labile, eppure è quello in cui si trovano – attualmente – tutti quegli storici che sono chiamati a rapportarsi con l’odierna rivoluzione tecnologica – la terza della nostra storia – e con le sue conseguenze, emerse o prevedibili.

La relazione fra queste due scale – la lentezza di una cultura dello scritto che si è tramandata per secoli  contro una velocità che toglie il respiro – fa balenare una forma nuova della connessione fra passato e futuro. 

La storia è una disciplina finalizzata a conoscere e comprendere ambienti ed esperienze lontani nel tempo e nello spazio, un incontro che arricchisce e che si nutre di tecniche epistemologiche, capacità critiche e di un pizzico di creatività. Lo storico interpreta un processo, cerca un paradigma generale di senso e di interpretazione: in quest’attività riceve costanti impulsi dal presente in cui è immerso e si spinge verso il futuro, agognando una costante crescita, consapevole di un cammino ancora tutto da percorrere, su sentieri non ancora battuti. La curiosità è la molla che lo spinge, che ne alimenta la passione e che lo porta, alle volte, verso terreni inesplorati. È questa intrinseca vocazione, la costante più potente nella storia degli storici, a fondare questo lavoro di tesi.

C’era da aspettarselo, del resto: già il sottotitolo denuncia nella parola “digitale” – nascosta tra termini che appartengono alla più classica tradizione storiografica – un orientamento diverso, l’improvviso balzo in avanti, quell’accelerazione di cui si diceva in apertura. Il manoscritto è sempre il centro della riflessione, il cuore della ricerca ma, in questo spazio virtuale, si trasfigura e diviene metafonte e ipertesto, scoprendo una nuova funzione, una nuova veste.

Questo progetto, che indica nella metodologia informatica uno dei possibili strumenti di arricchimento del bagaglio dello storico, è stato fortemente improntato alla decisa separazione tra forme e contenuti, basata sulla nozione chiave di trasformazione: un unico contenuto – in questo caso la documentazione contenuta nel manoscritto –  altamente strutturato dal punto di vista semantico, può assumere forme potenzialmente infinite sia riguardo alla selezione e all’ordinamento del materiale che al suo formato elettronico. Il medesimo contenuto può essere potenzialmente espandibile in senso quantitativo – con l’immissione di nuovo materiale – o qualitativo, consentendo cioè l’aggiunta all’informazione preesistente di ulteriore informazione, ottimizzando le risorse investite in un’edizione e consentendo in massimo grado il riuso dell’informazione esistente e la sua adattabilità in qualsiasi  direzione.

Queste caratteristiche hanno comportato, quasi necessariamente, una notevole fluidità nella definizione delle strutture e dei contenuti: da un primo nucleo essenzialmente incentrato sui documenti e funzionale agli interessi storici la costruzione informatica è infatti avanzata, ampliando la gamma degli strumenti offerti all’utente, secondo un percorso evolutivo che ha richiesto un continuo rimaneggiamento degli elementi concepiti al suo avvio, ma che ha parallelamente goduto delle proprietà di XML di espandersi senza perdite.

La tecnologia digitale applicata ai fini dell’edizione offre innumerevoli possibilità che si sono rivelate – al termine del lavoro – ricche di implicazioni epistemologiche e conseguenze positive. L’impiego di un linguaggio di marcatura specificamente studiato per la documentazione analizzata e la creazione di un sito a forte carattere ipertestuale, dove stabilire connessioni non solo tra i documenti ma anche tra questi e i testi critici che li accompagnano, hanno infatti liberato la scrittura – quella dello storico, quella del liber – superando categorie analitiche precostituite e i tradizionali vincoli del cartaceo. Nell’immaterialità propria dell’ipertestualità, la genesi e il significato stesso della documentazione hanno trovato la possibilità di essere reinterpretati, di divenire un prodotto storiograficamente stratificato – orizzonti sfilacciati ma non per questo inconsistenti – dove sembra più facile moltiplicare le risorse conoscitive, localizzare le articolazioni periferiche del discorso storico, innescare dialettiche non previste dall’ordinamento originale del codice. Paradossalmente, la natura dell’intera tesi – composta da parti in sé apparentemente disomogenee – ha trovato, proprio nella veste informatica proposta, un metodo di armonizzazione e ricomposizione.

Le intenzioni che hanno mosso il progetto, forse ambiziose, e il risultato finale – che tratteggia il quadro di una nuova modalità di produzione e comunicazione della ricerca storica – aprono numerosi interrogativi. Le risposte, chi vorrà, le troverà rigo dopo rigo: ma è bene avvertire che una certa iniziale sorpresa – fino a una scettica diffidenza – fa parte del gioco che si vuole proporre, ed è la maniera migliore per accostarsi al racconto che sta per iniziare.

 

 


1  Cfr. J. Assmann, La memoria culturale: scrittura, ricordo e identità politica nelle grandi civiltà antiche, Torino, Einaudi 1997, p. 60 (tit. or.: Das kulturelle Gedachtnis: Schrift, Erinnerung und politische Identitat in fruhen Hochkulturen, Munchen, C. H. Beck 1992).